Milioni e miliardi
Possedeva una valanga di milioni, terre, ville, automobili, yacht, motoscafi, gioielli, una biblioteca ricca di preziosi volumi, una galleria di quadri famosi. Eppure non sapeva cosa fare. Delle sue tenute egli capiva solo l'estensione, dei gioielli il prezzo, dei suoi libri il formato. (...)
Il sole, la luna, le stelle, le pietre delle case piene di storie meravigliose, la vita che brulica sulla proda di un fosso in primavera, la rugiada che brilla all'alba sulle foglie verdi, il cielo nel quale naviga la navicella della fantasia, i colori delle stagioni. Hai voglia: qui ci sono i gioielli, la biblioteca, la galleria di quadri, lo yacht, l'automobile, l'aeroplano, le ville e i castelli (...)
Non amareggiamoci per via dei milioni che non abbiamo: nelle sere di primavera e d'estate mettiamoci alla finestra a guardare le stelle: sono miliardi, non milioni. E sono tutte nostre.
Guareschi, Milioni e miliardi, da Lo Zibaldino


NERO: Mi sa che tu non vuoi essere felice.
BIANCO: Felice?
NERO: Si. Felice è una brutta parola?
BIANCO: Dio Santo.
NERO: Che c'è? Ho toccato un tasto dolente? Cos'hai contro la felicità?
BIANCO: È contraria alla condizione umana.
NERO: Be'. È contraria alla tua condizione. Su questo devo darti ragione.
BIANCO: La felicità. È ridicolo!
NERO: Cioè, non esiste?
BIANCO: No.
NERO: Per nessuno?
BIANCO: No.
NERO: Mm. E come ci siamo finiti in un casino del genere?
BIANCO: Ci siamo nati, in un casino del genere. La sofferenza e il destino umano sono la stessa cosa. L'una è la descrizione dell'altro.
NERO: Qui non stiamo parlando di sofferenza. Parliamo di felicità.
BIANCO: Be', non si può essere felici se si soffre.
NERO: Perché no?
BIANCO: Quel che dice è assurdo.
Il nero si butta all'indietro sulla sedia, stringendosi il petto.
NERO: Ah, che parole dure dal professore. Il predicatore è al tappeto. Eccolo che si stringe il cuore. Ha rovesciato gli occhi al cielo. Ma aspettate. Aspettate un attimo, amici. Sta battendo le palpebre. Mi sa che si riprende. Mi sa che si riprende.
Il nero si rimette seduto dritto e si protende in avanti.
NERO: Il punto, professore, è che se nella tua vita non ci fosse la sofferenza, come faresti a capire quando invece sei felice? Felice rispetto a cosa?
Cormac McCarthy, Sunset Limited


"Signor Fix" disse a sua volta il console, "il vostro modo di esprimervi è tale da indurmi ad augurarvi vivamente di riuscire; ma, ripeto, nelle condizioni in cui vi trovate, temo che sia difficile. Come ben sapete, in base ai connotati che vi sono stati trasmessi, questo ladro assomiglia in tutto e per tutto ad un galantuomo."
"Signor console" ribatté dogmaticamente l'ispettore di polizia, "i grandi ladri assomigliano sempre a dei galantuomini. Capirete bene che a quelli che hanno l'aspetto di bricconi resta una sola soluzione: rimanere probi. Altrimenti si farebbero arrestare. Sono soprattutto le fisionomie oneste quelle che bisogna studiare. Lavoro difficile, lo riconosco, e che non è più una professione, ma un'arte."
Jules Verne, Il giro del mondo in 80 giorni


Ma quali sono i problemi etici? In primo luogo, la sicurezza: l'esperimento è invasivo, in quanto espone il soggetto a rischi (...).
In secondo luogo, la proporzionalità benefici/ rischi (...).
In terzo luogo, l'autonomia del paziente (...).
L'interfaccia cervello-computer - nella misura in cui si potrà realizzare - comporta la non possibilità di "filtrare" e selezionare la trasmissione del pensiero: in altri termini, se il cervello comunica direttamente con un dispositivo tramite microchip, il soggetto non potrà avere la possibilità di "non dire" alcuni pensieri, sia inconsci sia consci, che non intende comunicare. Si discute di privacy cerebrale o libertà cognitiva nell'ambito delle neurotecnologie che "leggono" la mente, intese come la possibilità per un soggetto di tenere riservati alcuni pensieri. È, forse, l'ambito del potenziamento umano il "non detto" dell'esperimento. Il confine tra terapia e potenziamento è sfumato e apre molti problemi etici: di sproporzione tra benefici e rischi (ha senso esporsi a rischi fisici e psichici con l'obiettivo di aumentare capacità intellettive?), di libertà (saremmo davvero liberi di potenziarci in società competitive che esigono standard sempre più elevati di prestazioni?) e giustizia (chi potrebbe accedere a queste tecnologie prevedibilmente molto costose?).Tante le domande etiche che in sostanza chiedono alla ricerca di riflettere sul bilanciamento complesso tra l'avanzamento neurotecnologico che dischiude opportunità per pazienti e la responsabilità morale del ricercatore.
Laura Palazzani, Avvenire, Febbraio 2024


Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l'amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra; ma questa è una verità che non molti conoscono. Questa sconfinata regione, la regione del rusco, del boulot, del job, insomma del lavoro quotidiano, è meno nota dell'Antartide, e per un triste e misterioso fenomeno avviene che ne parlano di più, e con più clamore, proprio coloro che meno l'hanno percorsa. Per esaltare il lavoro, nelle cerimonie ufficiali viene mobilitata una retorica insidiosa, cinicamente fondata sulla considerazione che un elogio o una medaglia costano molto meno di un aumento di paga e rendono di più però esiste anche una retorica di segno opposto, non cinica ma profondamente stupida, che tende a denigrarlo, a dipingerlo vile, come se del lavoro, proprio o altrui, si potesse fare a meno, non solo in Utopia ma oggi e qui: come se chi sa lavorare fosse per definizione un servo, e come se, per converso, chi laorare non sa, o sa male, o non vuole, fosse per ciò stesso un uomo libero. è malinconicamente vero che molti lavori non sono amabili, ma è nocivo scendere in campo carichi di odio preconcetto: chi lo fa, si condanna per la vita a odiare non solo il lavoro, ma se stesso e il mondo. Si può e si deve combattere perché il frutto del lavoro rimanga nelle mani di chi lo fa, e perché il lavoro stesso non sia una pena, ma l'amore o rispettivamente l'odio per l'opera sono un dato interno, originario, che dipende molto dalla storia dell'individuo, e meno di quanto si creda dalle strutture produttive entro cui il lavoro si svolge.
Primo Levi, La chiave a stella, Einaudi


Kita Monea, dalla Raccolta Conversando sulla speranza

Ettore Barbagallo


Abito, come già ho detto, nella casa in cui sono nato, dormo nella stanza in cui mia madre mi mise alla luce. Posso dire che, pur con tutti i miei viaggi, con tutte le mie vite altrove - reali e immaginate - con tutto il mio errare, sono rimasto. Il paese che ho visto pieno, adesso è vuoto. I compagni che partivano pensando ad un ritorno poi non sono più tornati. Le case e le strade sono vuote. Il luogo che volevo cambiare mi ha, forse, cambiato. L'esilio non l'ho scelto io, mi è arrivato a casa. Dalla finestra, nella strada ormai deserta, ancora fino a pochi mesi fa, la mattina vedevo due donne anziane che parlavano davanti alla loro porta o sui gradini all'inizio di un vicolo. Assisto alla morte del paese. È struggente. Da bambino aspettavo il ritorno di mio padre, adesso assisto alla partenza dei miei figli. Eppure, è qui che devo dare un senso a quel che resta del mio giorno. È qui che devo riguadagnare le ragioni, le emozioni, i sentimenti di una scelta.
Siamo responsabili del tempo che viviamo, siamo responsabili dei luoghi che abitiamo. Là dove si vive bisogna abitare, "dove si hanno i piedi, bisogna avere anche la testa", dice il mio amico Michele; là dove si è rimasti bisogna cercare di costruire e di immaginare una nuova vita. Non possiamo limitarci solo a contare i morti, non possiamo farci inghiottire dalle ombre e dai fantasmi del passato, con i quali tuttavia continuiamo ad avere un turbolento e sofferto dialogo. Il nostro compito è anche accogliere la vita che arriva, ricevere quelli che tornano, provare a sostenere quanti non vorrebbero partire. Il nostro compito è camminare, cercare, scrivere, sperando che anche questo possa servire a costruire nuova comunità.
Vito Teti, La restanza, Einaudi 2022


Questo paese, dove non sono nato, ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo. Adesso che il mondo l'ho visto davvero e so che è fatto di tanti piccoli paesi, non so se da ragazzo mi sbagliavo poi molto. Uno gira per mare e per terra, come i giovanotti dei miei tempi andavano sulle feste dei paesi intorno, e ballavano, bevevano, si picchiavano, portavano a casa la bandiera e i pugni rotti (...). Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti. Ma non è facile straci tranquillo. Da un anno che lo tengo d'occhio e quando posso ci scappo da Genova, mi sfugge di mano. Queste cose si capiscono col tempo e l'esperienza. Possibile che a quarant'anni, e con tutto il mondo che ho visto, non sappia cos'è il mio paese?
Cesare Pavese, La luna e i falò

Disattenzione
Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare domande,
senza stupirmi di niente.
Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.
Inspirazione, espirazione, un passo dopo l'altro, incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell'uscire di casa e del tornarmene a casa.
Il mondo avrebbe potuto essere preso per un mondo folle,
e io l'ho preso solo per uso ordinario.
Nessun come e perché -
e da dove è saltato fuori uno così -
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.
Ero come un chiodo piantato troppo in superficie nel muro
(e qui un paragone che mi è mancato).
Uno dopo l'altro avvenivano cambiamenti
perfino nell'ambito ristretto d'un batter d'occhio.
Su un tavolo più giovane, da una mano d'un giorno più giovane,
il pane di ieri era tagliato diversamente.
Le nuvole erano come non mai e la pioggia era come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.
La terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.
È durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.
Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po' di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.

Wislawa Szymborska, Due punti (Adelphi 2006)


Tutti noi sentiamo il dolore delle guerre. Sapete che dalla fine della Seconda guerra mondiale le guerre hanno imperversato in varie parti del mondo. Quando sono lontane, forse non le sentiamo con forza. Ce ne sono due molto vicine che ci fanno reagire: Ucraina e Terra Santa. È pesante quello che sta accadendo in Terra Santa. È molto pesante.
Il popolo palestinese, il popolo di Israele, hanno il diritto alla pace, hanno il diritto di vivere in pace: due popoli fratelli. Preghiamo per la pace in Terra Santa. Preghiamo perché le controversie vengano risolte con il dialogo e i negoziati e non con una montagna di morti da entrambe le parti. Per favore, preghiamo per la pace in Terra Santa.
Papa Francesco


Negli scoppi delle bombe e negli incendi delle città ciò che ai miei occhi riporta la verità sulle cose è il pensiero della morte di Gesù. Non sono in grado di darmi altra spiegazione se non questa: seguire Cristo che va a morire sulla croce, essere come Lui, e basta.
Per questo abbiamo aderito con semplicità ai sentimenti di amore e di pace propri del Papa, riconoscendo con lui che essi non vengono dall'adesione a una condanna di quelli che vogliono la guerra, ma dall'impegnare tutte le energie a riattivare un'educazione che alleni al riconoscimento di un'ingiustizia annidata alle origini di tutte le decisioni umane - quello che nel nome di Cristo si chiama peccato originale.
Luigi Giussani, da una lettera al Corriere della Sera (2003), in occasione della guerra in Iraq


Di queste case
Non è rimasto
Che qualche
Brandello di muro
Di tanti
Che mi corrispondevano
Non è rimasto
Neppure tanto
Ma nel cuore
Nessuna croce manca
È il mio cuore
Il paese più straziato.

Giuseppe Ungaretti, Porto sepolto

Uomo del mio tempo
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t'ho visto - dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all'altro fratello:
"Andiamo ai campi". E quell'eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

Salvatore Quasimodo, Giorno dopo giorno, 1946

Caterina è mancata
Veniamo meno,
uno dopo l'altro
come dita di una mano
senza presa

La vita,
donata e ridonata,
foglia, ramo,
albero fiorito

riapre la domanda
spalanca la ferita
rilancia come
freccia protesa.

Il dato,
zoccolo duro
dell'esserci qui e ora,
implora misericordia.

Romana Romano


Perché mai amo tanto questo posto? È forse perché qui la natura umana non ha ancora avuto tempo di mascherarsi? Qui nessuno avrebbe mai potuto parlare di un paradiso in terra: il cielo rimaneva rigidamente al proprio posto al di là della morte, e al di qua prosperavano le ingiustizie, le crudeltà, le grettezze che altrove la gente riusciva abilmente a mascherare. Qui si potevano amare le creature umane quasi come le ama Dio stesso, conoscendo il peggio di loro.
Graham Greene, Il nocciolo della questione

Nell'albeggiare
Nel silenzio notturno
uno zirlo,
un rombo d'auto
porta un uomo
lontano.

Il corpo respira
l'attesa frescura,
ritrova pace
l'animo
desto.

Cavalcano in frotte
pensieri e dolori
si accampano
volti, immagini
flutti...

La quiete di nuovo
cadenza il respiro
pacifica il tempo,
rischiara il cielo,
nell'alba.
Romana Romano

Trasparenza
Si dipana
il filo dei pensieri,
trama
di luce sui ricordi.

Sostiene il vigore
ancora l'io
immagine vaga,
caduti gli orpelli.

Non c'è bellezza
senza armonia
né trasparenza
senza abbandono.
Romana Romano


Esiste una borghesia di sinistra e una borghesia di destra. Non c'è invece un popolo di sinistra e un popolo di destra, c'è un popolo.

Georges Bernanos, I grandi cimiteri sotto la luna

Quando i genitori invecchiano
Lasciali invecchiare con lo stesso amore con cui ti hanno fatto crescere..
Lasciali parlare e raccontare ripetutamente storie con la stessa pazienza
e interesse con cui hanno ascoltato le tue quando eri bambino..
Lasciali vincere, come tante volte loro ti hanno lasciato vincere..
Lasciali godere dei loro amici, delle chiacchiere con i loro nipoti..
Lasciali godere vivendo tra gli oggetti che li hanno accompagnati per molto tempo,
perché soffrono sentendo che gli strappi pezzi della loro vita..
Lasciali sbagliare, come tante volte ti sei sbagliato tu..
Lasciali vivere
e cerca di rendergli felici gli ultimi tratti del cammino che gli manca da percorrere,
allo stesso modo in cui loro ti hanno dato la loro mano quando iniziavi il tuo.
Pablo Neruda, Poesie


La tua lettera impiegò un mese ad arrivare. Mi scrivesti: "Per me la fede è un impegno totale. Un impegno che riguarda tutto quello che ha detto Gesù. Ciò che c'è scritto nel Vangelo è la verità, nonna. Non ho mai visto la forza di gravità, ma ogni momento ho davanti a me la prova della sua esistenza. È così che sento la verità di Cristo, come una forza prodigiosa che si manifesta in ogni cosa e dà senso alla mia vita. Ti posso dire che, nonostante i dubbi che nutro sulla Chiesa, con tutti i suoi difetti e i miei limiti, sono profondamente felice. Non temere per me, nonna, perché io non temo.
Isabel Allende, Violeta, 2022


Quando uscivi dalla porta del retro di casa, da un lato trovavi un abbeveratoio di pietra in mezzo a quelle erbacce. C'era un tubo zincato che scendeva dal tetto e l'abbeveratoio era quasi sempre pieno, e mi ricordo che una volta mi fermai lì, mi accovacciai, lo guardai e mi misi a pensare. Non so da quanto tempo stava lì. Cento anni. Duecento. Sulla pietra si vedevano le tracce dello scalpello. Era scavato nella pietra dura, lungo quasi due metri, largo suppergiù mezzo e profondo altrettanto. Scavato nella pietra a colpi di scalpello. E mi misi a pensare all'uomo che l'aveva fabbricato. Quel paese non aveva avuto periodi di pace particolarmente lunghi, a quanto ne sapevo. Dopo di allora ho letto un po' di libri di storia e mi sa che di periodi di pace non ne ha avuto proprio nessuno. Ma quell'uomo si è messo lì con una mazza ed uno scalpello e aveva scavato un abbeveratoio di pietra, che sarebbe potuto durare diecimila anni. E perché? In che cosa credeva questo tizio? Di certo non credeva che non sarebbe cambiato nulla. Uno potrebbe pensare anche a questo. Ma, secondo me, non poteva essere così ingenuo. Ci ho riflettuto tanto. Ci riflettei anche dopo essermene andato da lì quando la casa era ridotta a un mucchio di macerie. E ve lo dico, secondo me quell'abbeveratoio è ancora lì. Ci voleva ben altro per spostarlo, ve lo assicuro. E allora penso a quel tizio seduto lì con la mazza e lo scalpello, magari un paio d'ore dopo cena, non lo so. E devo dire che l'unica cosa che mi viene da pensare è che quello aveva una specie di promessa dentro il cuore. E io non ho certo intenzione di mettermi a scavare un abbeveratoio di pietra. Ma mi piacerebbe essere capace di fare quel tipo di promessa. È la cosa che mi piacerebbe fare più di tutte.
Cormac McCarthy, Non è un paese per vecchi, 2005


Alcune persone chiamano questa intelligenza artificiale, ma la realtà è che questa tecnologia ci migliorerà. Quindi, invece dell'intelligenza artificiale, penso che aumenteremo la nostra intelligenza.
Ginni Rometty, presidente IBM


Lo sviluppo di un'intelligenza artificiale completa potrebbe significare la fine della razza umana... . Le forme primitive di intelligenza artificiale si sono già da tempo dimostrate utilissime, ma temo le conseguenze di aver creato qualcosa che può uguagliare o sorpassare gli esseri umani. Essa può decollare autonomamente e riprogrammarsi ad una velocità sempre più elevata. Gli umani, che sono limitati dalla lenta evoluzione biologica, non potrebbero competere e sarebbero superati.
Stephen Hawking, scienziato


Il ritmo dei progressi nell'intelligenza artificiale (non mi riferisco all'IA ristretta) è incredibilmente veloce... Non hai idea di quanto velocemente stia crescendo ad un ritmo vicino all'esponenziale. Il rischio che succeda qualcosa di gravemente pericoloso è entro cinque anni di tempo, 10 anni al massimo.
Elon Musk, imprenditore (SpaceX, Tesla, Twitter, OpenAI)


L'intelligenza artificiale sarebbe la versione definitiva di Google. L'ultimo motore di ricerca che capirebbe tutto sul web. Comprenderebbe esattamente quello che volevi e ti darebbe la cosa giusta. Non siamo neanche lontanamente pronti a farlo ora. Tuttavia, possiamo avvicinarci sempre di più a questo, ed è fondamentalmente ciò su cui lavoriamo.
Larry Page, cofondatore di Google


Le grandi occasioni vengono perse dalla maggior parte della gente perché sono vestite in tuta e assomigliano al lavoro.
Thomas Edison


Il primo dovere a Brancaccio è rimboccarsi le maniche. E i primi obiettivi sono i bambini e gli adolescenti: con loro siamo ancora in tempo, l'azione pedagogica può essere efficace.
Don Pino Puglisi


Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile, e all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile.
Francesco d'Assisi


È sempre possibile ricominciare, anche dalle macerie.
Papa Francesco


Ci sono solo due giorni all'anno in cui non puoi fare niente: uno si chiama ieri, l'altro si chiama domani; perciò, oggi è il giorno giusto per amare, credere, fare e, principalmente, vivere.
Dalai Lama


Tra vent'anni non sarete delusi dalle cose che avrete fatto, ma da quelle che non avrete fatto.
Mark Twain


Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, che non hanno inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita.
Boris Pasternak, Il dottor Zivago


Insegui ciò che ami, o finirai per amare ciò che trovi.
Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio


Se siete neutrali in situazioni di ingiustizia, avete scelto la parte dell'oppressore. Se un elefante ha il suo piede sulla coda di un topo e dici che sei neutrale, il topo non apprezzerà la vostra neutralità. Dovremmo scrivere questa frase sui muri di ogni scuola.
Desmond Tutu

Schianto
Stridono i freni
Zigzaga
l'urlo del ferro
sul selciato.

La vita incessante
trasborda
sull'inerte
materia inanimata.

Crollano
i freni inibitori
urge il presente.
Di schianto

si mostra il vero.
Di sé e del mondo
incendiando
i rapporti.

Vincoli
umani e divini
risvegliano
la mente

illuminano il cielo.
Grida l'universo -
donandola -
Misericordia.

Romana Romano




Con un movimento rapido, inaspettato in una persona solitamente così parca di gesti, Raimundo Silva spalancò la finestra, qualche spruzzo gli arrivò sulla faccia, non sul libro, perché l'aveva protetto, e la stessa impressione di forza totale e traboccante gli invase lo spirito e il corpo, questa è la città che è stata assediata, le mura arrivano fino al mare, ché il fiume è così largo da meritarne il nome, e poi salgono, ripide, fin dove non riusciamo a vedere, questa è la Lisbona mora, se non fosse così cupa l'aria di questa giornata invernale scorgeremmo meglio gli uliveti del pendio che scende fino all'estuario, e quelli sull'altra sponda, adesso invisibili come se li coprisse una nuvola di fumo. Raimundo Silva ha guardato e riguardato, l'universo mormora sotto la pioggia, Mio Dio, che dolce e tenera tristezza, e speriamo che non ci manchi mai, neanche nei momenti di gioia.
José Saramago, Storia dell'assedio di Lisbona




Giunsi a Torino il 19 di ottobre, dopo trentacinque giorni di viaggio: la casa era in piedi, tutti i familiari vivi, nessuno mi aspettava.
Primo Levi, La tregua



Viaggio in Italia (anzi, a Catania)
"L'abate, che era venuto a salutarci ier sera, si è presentato stamane per tempo e ci ha condotti a palazzo Biscari, edificio ad un sol piano sopra un basamento elevato; e qui abbiam visitato il museo, che raccoglie statue di marmo e di bronzo, vasi e simili antichità d'ogni specie."
"Dopo, il sacerdote ci ha portato nel convento dei benedettini, nella cella di un frate il cui aspetto triste e riservato, non ancora vecchio, non prometteva una conversazione allegra. È però l'unico artista che sappia suonare l'organo colossale di questa chiesa".
"Siamo saliti lungo la strada dove la lava, che nel 1669 aveva distrutto gran parte della città, è ancora visibile ai giorni nostri. Il torrente di fuoco divenuto immobile è stato lavorato come qualunque altra roccia, sopra di lui sono state progettate e in parte costruite strade".
"Se volete seguire il mio consiglio, andate domani ben presto a cavallo fino ai piedi del Monte Rosso. Salite su quell'altura! Avrete da lassù la vista più magnifica e potrete osservare allo stesso tempo la lava che nel 1669 si è purtroppo riversata da lì sulla città. La vista è magnifica e chiara; il resto, meglio farselo raccontare."
"Le masse di lava in primo piano, la cima doppia del Monte Rosso a sinistra, diritto sopra a noi i boschi di Nicolosi dai quali si ergeva la cima, poco fumante. Siamo avanzati verso la montagna rossa ed io ho continuato a salire: è un accumulo fatto soltanto di frammenti, cenere e pietre rosse vulcaniche. Avrei potuto girare bene intorno alla bocca, se non ci fosse stato un violento vento mattutino che rendeva incerto ogni passo; volendo avanzare anche solo un po' avrei dovuto togliermi il cappotto, ma poi il mio cappello è stato momentaneamente in pericolo di finire dentro il cratere e subito dopo l'avrei seguito io stesso."
Goethe, Viaggio in Italia, 1816-1817



Sorridi
Sorridi donna
sorridi sempre alla vita
anche se lei non ti sorride.
Sorridi agli amori finiti
sorridi ai tuoi dolori
sorridi comunque.
Il tuo sorriso sarà
luce per il tuo cammino
faro per naviganti sperduti.
Il tuo sorriso sarà
un bacio di mamma,
un battito d'ali,
un raggio di sole per tutti.
Alda Merini



Homo sum, humani nihil a me alienum puto
Ecco un'altra questione: come ci si deve comportare con gli uomini. Che cosa facciamo? Quali precetti diamo? [Insegniamo] a risparmiare il sangue umano? Che poca cosa è non nuocere a colui al quale dovresti giovare! È proprio un grande motivo di lode, se un uomo è mite con un [altro] uomo. Insegneremo a porgere la mano al naufrago, a indicare la via a chi è smarrito, a dividere il proprio pane con chi ha fame? Perché dovrei dire tutte le cose che si devono fare ed evitare, quando posso brevemente trasmettergli questa formula dei doveri umani?
Tutto ciò che vedi, da cui è racchiuso ogni elemento divino ed umano, costituisce un'unica realtà noi siamo le membra di un grande corpo. La natura ci ha generato fratelli, poiché ci ha fatti nascere dai medesimi elementi e in vista dei medesimi fini; essa ci ha ispirato un amore reciproco e ci ha reso socievoli. Essa ha stabilito ciò che è equo e ciò che è giusto; secondo la sua legge, è più miserevole fare del male che subire un'offesa: secondo il suo comando, le mani siano pronte per coloro che devono essere aiutati.
Sia [sempre] nell'animo e sulle labbra quel famoso verso: "Sono un uomo, nulla di umano reputo estraneo a me". Teniamo fermo questo: siamo nati per vivere insieme. La nostra società è molto simile ad una volta di pietre, che, destinata a cadere se [le pietre] non si sorreggessero a vicenda, proprio per questo si sostiene.
Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, 95, 51-53.



Un ciclamino
Tripudio di colori
l'albero curato
cattura lo sguardo
suscita interesse
domina la scena.

Nasconde il contesto:
il prato inaridito
le case fatiscenti
l'ombra sfumata
grama di un uomo.

Sul palco del successo
l'ara per il sacrificio
toglie il ricordo
anestetizza il dolore
distrae la coscienza.

La guerra, il terremoto
il Covid, il reale
esplodono in suoni
luci scenette
coriandoli impazziti.

Eppure sotto il fogliame
di un vaso inaridito,
inatteso fa capolino
traluce di vita e colore,
un ciclamino.

Visibile il creato
per il cuore che palpita;
oggetto non virtuale
zoccolo duro dell'essere
segno di speranza.

Romana Romano



Lettere, 1942-1943
Se noi salveremo i nostri corpi e basta dai campi di prigionia, dovunque essi siano, sarà troppo poco. Non si tratta infatti di conservare questa vita a ogni costo, ma di come la si conserva. A volte penso che ogni situazione, buona o cattiva, possa arricchire l'uomo di nuove prospettive. E se noi abbandoniamo al loro destino i duri fatti che dobbiamo irrevocabilmente affrontare - se non li ospitiamo nelle nostre teste e nei nostri cuori, per farli decantare e divenire fattori di crescita e di comprensione -, allora non siamo una generazione vitale. (...)
Assenza d'odio non significa di per sé assenza di un elementare sdegno morale. So che chi odia ha fondati motivi per farlo. Ma perché dovremmo sempre scegliere la strada più corta e a buon mercato? Laggiù [nel campo di smistamento di Westerbork] ho potuto toccare con mano come ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo renda ancora più inospitale.
Etty Hillesum, Lettere, Adelphi 1990



Ode al primo giorno dell'anno
Lo distinguiamo dagli altri
come se fosse un cavallino
diverso da tutti i cavalli.
Gli adorniamo la fronte
con un nastro,
gli posiamo sul collo sonagli colorati,
e a mezzanotte
lo andiamo a ricevere
come se fosse
un esploratore che scende da una stella.
Come il pane assomiglia
al pane di ieri,
come un anello a tutti gli anelli...
La terra accoglierà questo giorno
dorato, grigio, celeste,
lo dispiegherà in colline
lo bagnerà con frecce
di trasparente pioggia
e poi lo avvolgerà
nell'ombra.
Eppure
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell'anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani
a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire,
a sperare.
Pablo Neruda



Italiani, vi esorto ai classici
La lettura di un classico deve darci qualche sorpresa, in rapporto all'immagine che ne avevamo. Per questo non si raccomanderà mai abbastanza la lettura diretta dei testi originali scansando il più possibile bibliografia critica, commenti, interpretazioni. La scuola e l'università dovrebbero servire a far capire che nessun libro che parla di un libro dice di più del libro in questione; invece fanno di tutto per far credere il contrario. C'è un capovolgimento di valori molto diffuso per cui l'introduzione, l'apparato critico, la bibliografia vengono usati come una cortina fumogena per nascondere quel che il testo ha da dire e che può dire solo se lo si lascia parlare senza intermediari che pretendano di saperne più di lui. (...) Dove trovare il tempo e l'agio della mente per leggere dei classici, soverchiati come siamo dalla valanga di carta stampata dell'attualità? Certo, si può ipotizzare una persona beata che dedichi il "tempo-lettura" delle sue giornate esclusivamente a leggere i classici.. Tutto questo senza aver da fare recensioni dell'ultima ristampa, né pubblicazioni per il concorso della cattedra, né lavori editoriali con contratto a scadenza ravvicinata. Questa persona beata per mantenere la sua dieta senza nessuna contaminazione dovrebbe astenersi dal leggere i giornali, non lasciarsi mai tentare dall'ultimo romanzo o dall'ultima inchiesta sociologica. Resta da vedere quanto un simile rigorismo sarebbe giusto e proficuo. L'attualità può essere banale e mortificante, ma è pur sempre un punto in cui situarci per guardare in avanti o indietro. Per poter leggere i classici si deve pur stabilire "da dove" li stai leggendo, altrimenti sia il libro che il lettore si perdono in una nuvola senza tempo. Ecco dunque che il massimo rendimento della lettura dei classici si ha da parte di chi sa alternare con sapiente dosaggio la lettura d'attualità.
Italo Calvino , Perché leggere i classici



Diario II (1994), 26 Dicembre
Mi dicono che a Napoli c'è il costume, non so se di sempre o di questi giorni, di ordinare un caffè e pagarne qualcuno in più di quello che si è preso. Per esempio, quattro persone entrano, si siedono, chiedono quattro caffè e dicono: "Più tre sospesi". Dopo un po' si presenta un povero alla porta e domanda: "C'è qualche caffè sospeso?". Il cameriere guarda il registro degli anticipi, per verificare il saldo, e dice: "C'è". Il povero entra, si beve il caffè e se ne va, suppongo ringraziando per la carità. A me, questo sembra bello. Si tratta di una solidarietà spicciola, è vero, ma se questo spirito si rafforza finiremo per andare al ristorante e pagare due pranzi, entrare in un negozio di scarpe e pagarne due paia, comprare un pollo e lasciarne due pagati, e così via. Del resto, sembra che non avremo altro rimedio. Visto che lo Stato adempie sempre meno e sempre peggio ai suoi obblighi verso i cittadini, spetterà a questi prendersi cura della società prima di trasformarci tutti, tranne i ricchi e i ricchissimi, in poveri da elemosinare, e dunque senza nessuno che ci paghi un caffè.
José Saramago , Quaderni di Lanzarote



Mi chiedo qual è il mio scopo..
Hugo: "Il Signor Labisse mi ha dato un libro l'altra sera."
Isabelle: "Ah, sì, lo fa sempre. 'Mando i libri nella casa giusta', dice sempre così."
Hugo: "Lui ha un vero... scopo."
Isabelle: "Che cosa vuoi dire?"
Hugo: "Ogni cosa ha uno scopo, persino le macchine. Gli orologi ti dicono l'ora e i treni ti portano nei posti. Fanno quello che devono fare, come il Signor Labisse. Forse per questo i meccanismi rotti mi rendono triste. Non possono più fare quello che dovrebbero. Forse è lo stesso con le persone: se perdi il tuo scopo è come se fossi rotto!"
Isabelle: "Come papà Georges!"
Hugo: "Possiamo aggiustarlo!"
Isabelle: "È questo il tuo scopo? Aggiustare le cose?"
Hugo: "Non lo so, mio padre lo faceva."
Isabelle: "Mi chiedo quale sia il mio scopo, non lo so. Forse, se avessi conosciuto i miei genitori lo saprei."
Hugo: "Vieni con me!"
I due ragazzi si recano in cima al meccanismo dell'orologio, il panorama è mozzafiato.
Hugo: "Subito dopo la morte di mio padre, venivo sempre quassù. Immaginavo che tutto il mondo fosse un enorme meccanismo; le macchine non hanno mai dei pezzi in più, hanno sempre l'esatto numero che serve. Così ho pensato che se tutto il mondo era un'enorme macchina, io non potevo essere in più. Dovevo essere qui per qualche motivo. E questo deve valere anche per te."

Dialogo tra Hugo e Isabelle, da Hugo Cabret, di Martin Scorsese, 2011



Sotto la cupola di tufo (Napoli, 11 agosto 1944)
Udimmo per caso un passante dire una cosa strana. Egli si era fermato a salutare un amico incontrato per via, ma sembrava aver fretta. "Tu mi crederai pazzo" - diceva - "ma questa mattina io vado ad un matrimonio" (...) Un tempo adattissimo ad uno sposalizio, se ci si riferiva alle condizioni atmosferiche. Eppure sembrava proprio matto chi quella mattina e in quel posto parlasse di un matrimonio imminente. Perché tutto intorno, là dove ieri si allineavano intatte prospettive di case e palazzi, si aprivano scenari atroci di macerie e di crolli. Sulla via era uno strato di polvere, calcinacci, vetri, misteriosi pezzi di mobili, carte, macchine, vestiti, stoviglie.
(...) Ora, sappiano pure i nemici che, per ognuno dei precedenti, novantacinque attacchi, l'infinita pazienza di questo popolo era sempre riuscita ad escogitare delle giustificazioni, spesso ingenue e utopistiche, rifiutandosi sempre di credere nella fredda malvagità umana. O la chiesa colpita si trovava sull'allineamento di tiro implicante un obiettivo militare, o le bombe piovute sull'ospedale erano state sganciate a casaccio da un apparecchio colpito nell'ansia cieca della salvezza, o la casa distrutta si trovava troppo vicina alla ferrovia. E se la rovina, come più di una volta era accaduto, investiva un quartiere lontano da qualsiasi bersaglio di guerra, ecco un volenteroso informare che in quel palazzo, nell'angolo del cortile, era stato recentemente installato un deposito di cartucce, o armi, o simili. (...) Ed ecco invece stavolta, pochi minuti dopo l'allarme, uno, e poi due, tre, quattro schianti duri e maligni, come se un maglio battesse di tutta forza su una materia compatta ed elastica. (...) Allora, per una sorta di intuizione, la gente seppe: oggi bombardano proprio noi - pensò - oggi non sono sul porto né sul quartiere industriale né sulle ferrovie, oggi sono qui, esclusivamente dediti a spaccare i nostri letti, a sfondare i mobili, a seppellire i più cari ricordi, a spogliarci di tutto quanto possediamo, oggi non sono venuti a "neutralizzare" batterie, aeroporti, bastimenti di guerra, il loro ordine di operazioni oggi prescrive di "neutralizzare" la sala di medicazione, il deschetto del ciabattino, la tinozza del bucato, la macchina per cucire, i ritratti dei nonni defunti, la pupa della bambina, prescrive in termini categorici di "neutralizzare" le culle e gli altari, perché evidentemente tutte queste cose minacciano la compagine del mondo...
Dino Buzzati, Cronache terrestri



Il Lonfo (Poesia metasemantica)
Il Lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce
sdilenca un poco e gnagio s'archipatta.

È frusco il Lonfo! È pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.

Eppure il vecchio Lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa lègica busìa, fa gisbuto;

e quasi quasi in segno di sberdazzi
gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto
t'alloppa, ti sbernecchia; e tu l'accazzi.

Fosco Maraini, Gnosi delle fanfole



Il metodo di San Benedetto
San Benedetto trovò il mondo sociale e materiale in rovina, e la sua missione fu di rimetterlo in sesto, non con metodi scientifici, ma con mezzi naturali, non accanendosi con la pretesa di farlo entro un tempo determinato o facendo uso di un rimedio straordinario o per mezzo di grandi gesta: ma in modo così paziente, graduale che ben sovente si ignorò questo lavoro fino al momento in cui lo si trovò finito.
Si trattò di un restauro piuttosto che di un'operazione caritatevole, di una correzione o di una conversione. (...) Uomini silenziosi si vedevano nella campagna o si scorgevano nella foresta, scavando, sterrando, e costruendo, e altri uomini silenziosi, che non si vedevano, stavano seduti nel freddo del chiostro, affaticando i loro occhi e concentrando la loro mente per copiare e ricopiare penosamente i manoscritti ch'essi avevano salvato.
Nessuno di loro protestava su ciò che faceva; ma poco per volta i boschi paludosi divenivano eremitaggio, casa religiosa, masseria, abbazia, villaggio, seminario, scuola e infine città.
John Henry Newman, Historical Studies



L'ultimo messaggio di Piero Angela al suo pubblico
Cari amici, mi spiace non essere più con voi dopo 70 anni assieme. Ma anche la natura ha i suoi ritmi. Sono stati anni per me molto stimolanti che mi hanno portato a conoscere il mondo e la natura umana. Soprattutto ho avuto la fortuna di conoscere gente che mi ha aiutato a realizzare quello che ogni uomo vorrebbe scoprire. Grazie alla scienza e a un metodo che permette di affrontare i problemi in modo razionale ma al tempo stesso umano. Malgrado una lunga malattia sono riuscito a portare a termine tutte le mie trasmissioni e i miei progetti (persino una piccola soddisfazione: un disco di jazz al pianoforte...). Ma anche, sedici puntate dedicate alla scuola sui problemi dell'ambiente e dell'energia". È stata un'avventura straordinaria, vissuta intensamente e resa possibile grazie alla collaborazione di un grande gruppo di autori, collaboratori, tecnici e scienziati. A mia volta, ho cercato di raccontare quello che ho imparato. Carissimi tutti, penso di aver fatto la mia parte. Cercate di fare anche voi la vostra per questo nostro difficile Paese. Un grande abbraccio.
Piero Angela, 2022



L'erba cattiva
Tritata, l'ortica è buona per le galline e, triturata, per il bestiame; il grano dell'ortica, misto al foraggio, dà lucentezza al pelo degli animali, mentre la radice mescolata col sale, dà un bel colore giallo. Del resto, è un fieno eccellente, che può essere falciato due volte. E che cosa occorre all'ortica? Poca terra, nessuna cura e nessuna coltivazione; solo, il grano cade a mano a mano ch'essa matura ed è difficile da raccogliere. Ecco quanto, con lieve briga, l'ortica sarebbe utile, mentre, se la si trascura, diventa nociva, ed allora la si uccide. Quanti uomini somigliano all'ortica! E soggiunse, dopo una pausa: "Tenete presente, amici miei, che non vi sono né cattive erbe né cattivi uomini: vi sono soltanto cattivi coltivatori."
Victor Hugo, I Miserabili, 1862



Nedda
(...) Tutte si affollarono attorno al focolare, ove la castalda distribuiva con paziente parsimonia le mestolate di fave. Nedda aspettava ultima, colla sua scodelletta sotto il braccio.
Finalmente ci fu posto anche per lei, e la fiamma l'illuminò tutta.
Era una ragazza bruna, vestita miseramente; aveva quell'attitudine timida e ruvida che danno la miseria e l'isolamento. Forse sarebbe stata bella, se gli stenti e le fatiche non ne avessero alterato profondamente non solo le sembianze gentili della donna, ma direi anche la forma umana. I suoi capelli erano neri, folti, arruffati, appena annodati con dello spago; aveva denti bianchi come avorio, e una certa grossolana avvenenza di lineamenti che rendeva attraente il suo sorriso. Gli occhi erano neri, grandi, nuotanti in un fluido azzurrino, quali li avrebbe invidiati una regina a quella povera figliuola raggomitolata sull'ultimo gradino della scala umana, se non fossero stati offuscati dall'ombrosa timidezza della miseria, o non fossero sembrati stupidi per una triste e continua rassegnazione. Le sue membra schiacciate da pesi enormi, o sviluppate violentemente da sforzi penosi, erano diventate grossolane, senza esser robuste.
Ella faceva da manovale, quando non aveva da trasportare sassi nei terreni che si andavano dissodando; o portava dei carichi in città per conto altrui, o faceva di quegli altri lavori più duri che da quelle parti stimansi inferiori al compito dell'uomo. La vendemmia, la messe, la raccolta delle olive per lei erano delle feste, dei giorni di baldoria, un passatempo, anziché una fatica.
Giovanni Verga, Primavera e altri racconti, 1874



Io canto come sento di cantare
Io canto come sento di cantare.
Amo le rose belle e profumate
e i più umili fiori.
Voglio ignorar le nubi
le foschie, le tempeste.
(...)
Amo quello che io vedo
e quello che non vedo, nel Creato:
quella incommensurabile ricchezza
ch'è nel fondo del mare e della terra
ed in alto, nel Cielo, il firmamento
con l'infinito carico di stelle.
E questo inno ch'io canto al Creatore
con infinito Amore
con la calda, vibrante mia passione
a Lui lo canto in tutta chiarità.
Non occorrono ermetiche parole
nuove parole per le eterne cose,
e alle note mie semplici e pure
vorrei seguisse il coro
di tutte le creature.

Amalia Lanzerotti Pantano, Canto come sento di cantare, Liriche, 1960



A Milioni
A Milioni
A milioni arriviamo
e a milioni andiamo via
come un vortice di vento
che non finisce mai.
Dicono che forse volevi compagnia?
Dicono che avevi da dare tanto infinito amore
fino a darci qualcosa che ci avvicina a Te
E che più di ogni cosa ami la nostra libertà.
Ma tutto questo non mi basta
Vorrei vederti e toccarti ora mentre vivo questa vita
di inspiegabile abisso e frastornante bellezza
E corro,
corro anch'io verso il traguardo
cercando ogni giorno nelle piccole cose
un segno di Te.

Kita Monea



Fantasiosa visione
Presunzione di un cuore senza pace.
Idee confuse
che si ritrovano in un groviglio.
Dipanerò con la costanza di sempre
E scorreranno rigagnoli sinuosi e puri
In cui mi specchierò.
Scoprirò chi sono.
Sciolti i capelli
me li porta via il vento.
Legato al seno il velo
me lo porta via il vento.
La gonna svolazza.
Le gambe sono remi.
Non vera esistenza la mia
ma fantasiosa visione
che vola tra le nuvole
e sospira l'Infinito.

Elena Miceli, Finiranno di tessere i ragni, Ed. Greco, 1988



Vivi alla meta
Splende il sole sui vivi
scaldando il mondo
con luce chiara
abbagliante.

Il giorno che torna
spalanca al presente
alterna vicenda
di antica ferita

che sanguina sempre.
Indugia l'animo:
antico è il dilemma
incerto il cammino

dolente il cuore.
Corrono in fretta
segnando la via
amici cari verso la meta.

Romana Romano



In bilico
Tornano le cicogne
sull'annoso palo
vivo per i pigolii
presaghi di voli.

Immobile il biviere
risuona di gracidi
richiami. Colma l'aria
soffuso vapore.

Offre la memoria
vivida la visione
di becchi in bilico
sull'orlo del traliccio,

confine di nido sicuro
o precipitosa caduta.
Lo sguardo campeggia
sull'acqua e la terra.

L'agro sonnolente
rende stridi frequenti:
l'implume in attesa
anela cibo e futuro.

Romana Romano




Il risultato non sarà quindi una singola cosmologia, ma diversi modelli cosmologici tutti aventi pari dignità veritativa. La scelta di uno di questi non sarà più obbligata da evidenze scientifiche, ma si baserà su un libero atto di fede. Potrò per esempio credere che il cosmo e la sua evoluzione, ivi compresa l'emergere della vita e della coscienza sia frutto del caso (...). Alternativamente e, sottolineo, con uguale dignità, posso scegliere un modello nel quale il cosmo e la sua evoluzione siano frutto di un libero atto d'amore che mantiene tutta la realtà in esistenza, nell'attesa paziente che da essa emerga una coscienza che, altrettanto liberamente, voglia riconoscere tale atto d'amore e lo ricambi nei confronti del prossimo e di tutto il cosmo. La relazione che si crea in questo mutuo scambio, come conosce bene chi l'ha sperimentata con persone amate che non sono più, resiste agli insulti del tempo ed è per sempre. L'eternità comincia da qui.
Piero Benvenuti,dal Convegno "Eternity between Space and Time" (Padova, 20-21 Maggio 2022)




Il cappotto
E c'era un che di strano nelle parole e nella voce con cui venivano dette. Vi si avvertiva qualcosa che induceva alla compassione, tanto che un giovanotto da poco entrato in servizio, e che aveva cominciato, secondo l'esempio degli altri, a burlarsi di lui, a un tratto si fermò colpito, e da quel momento fu come se tutto fosse cambiato ai suoi occhi e gli apparisse sotto un aspetto diverso. Una specie di forza soprannaturale lo respinse dai compagni con i quali aveva fatto conoscenza ritenendoli persone distinte ed educate. E poi per molto tempo, nei momenti più allegri, seguitò ad apparirgli il piccolo funzionario con le calvizie che diceva le parole toccanti: "Lasciatemi stare, perché mi offendete?" e in queste parole altre ne echeggiavano: "Io sono un tuo fratello." Il povero giovanotto si copriva allora la faccia con una mano e in seguito molte volte trasalì nella sua vita, vedendo quanta disumanità ci sia nell'uomo, quanta furiosa volgarità si nasconda nella personalità più raffinata e colta, e, Dio! persino in individui che il mondo reputa nobili e onesti.
Sarebbe stato difficile trovare un uomo che vivesse così del suo lavoro. È poco dire che egli prestava servizio con zelo; no, prestava servizio con amore. Lì, in quel copiare, egli vedeva un certo mondo proprio, vario e piacevole. La soddisfazione si dipingeva sulla sua faccia; alcune lettere erano le sue favorite e, quando vi s'imbatteva, non era più lui: ridacchiava, ammiccava, si aiutava con le labbra, sicché pareva che sulla sua faccia si potesse leggere ogni lettera che la sua penna vergava. Se l'avessero ricompensato in maniera proporzionata al suo zelo, con sua meraviglia egli sarebbe forse diventato persino consigliere di stato; mentre tutto ciò che aveva ottenuto, come si esprimevano gli spiritosi suoi compagni, era una fibbia all'occhiello e le emorroidi ai lombi.
Del resto, non si può dire che non si facesse alcuna attenzione a lui. Un direttore che era un buon uomo e voleva ricompensarlo per il lungo servizio, ordinò di dargli qualcosa di più importante della solita copiatura; gli fu così ordinato di stendere, di una pratica già pronta, una relazione a un altro ufficio; si trattava soltanto di cambiare il titolo di testa e poi di portare alcuni verbi dalla prima persona alla terza. Ma questo gli costò una tale fatica che egli diventò tutto un sudore, si terse la fronte e alla fine disse: "No, datemi piuttosto qualcosa da copiare."
Nikolaj Gogol, Racconti di Pietroburgo




Eternità
Lievi
ondeggiano al vento
le fronde delle tamerici
silenziose.

Danzano
lungo il litorale
le dita sottili delle palme
fruscianti.

Costanti
nel volgere del tempo
i pensieri della mente
senza riposo.

Il cuore attende
palpito sereno
i segni di una vita
nuova per sempre.

Romana Romano




Dal dialogo finale tra Marco Polo e il Kublai Khan
L'atlante del Gran Khan contiene anche le carte delle terre promesse visitate nel pensiero ma non ancora scoperte o fondate: la Nuova Atlantide, Utopia, la Città del sole, Oceana, Tamoè, Armonia, New-Lanark, Icaria.
Chiese a Marco Kublai: Tu che esplori intorno e vedi i segni, saprai dirmi verso quale di questi futuri ci spingono i venti propizi.
Per questi porti non saprei tracciare la rotta sulla carta né fissare la data dell'approdo. Alle volte mi basta uno scorcio che s'apre nel bel mezzo d'un paesaggio incongruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che s'incontrano nel viavai, per pensare che partendo di lì metterò assieme pezzo a pezzo la città perfetta, fatta di frammenti mescolati col resto, d'istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie. Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla. Forse mentre noi parliamo sta affiorando sparsa entro i confini del tuo impero; puoi rintracciarla, ma a quel modo che t'ho detto.
Già il Gran Khan stava sfogliando nel suo atlante le carte delle città che minacciano negli incubi e nelle maledizioni: Enoch, Babilonia, Yahoo, Butwa, Brave New World.
Dice: Tutto è inutile, se l'ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.
E Polo: L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Italo Calvino, Le città invisibili.



Testamento
Quando morrò seppellitemi
Sull'alta collina
Nella nostra steppa
Della bella Ucraina
Che si vedano i campi
E il Dniepr stizzito
Che si oda dal fiume
Al mare azzurro
L'inimico sangue
Cattivo, impuro
Allor, lascerò la terra,
salirò al Dio
per pregare...ma intanto
non conosco Dio.
Seppellite, insorgete,
le catene spezzate,
con l'inimico sangue
libertà spruzzate,
e nella grande famiglia
nuova, liberata,
non obliate ricordar di me
con parola grata.

Taras Shevchenko, poeta e scrittore ucraino.




È in questo istante che vive il presente
e in questa carne la vita che passa.

Tirata a secco la notte
è una barca con dentro noi,
quindici anni appena. Roccalumera.

Lascia ancora che sia corpo
ciò che non riesco a dirti
e nella voce dei tuoi occhi
insegnami
l'alfabeto dello sguardo.


Lorenzo Rapisarda, A perdersi, Giuliano Ladolfi editore, 2022.




Russians
In Europe and America there's a growing feeling of hysteria
Conditioned to respond to all the threats
In the rhetorical speeches of the Soviets
Mister Krushchev said, "We will bury you"
I don't subscribe to this point of view
It'd be such an ignorant thing to do
If the Russians love their children too
How can I save my little boy from Oppenheimer's deadly toy?
There is no monopoly on common sense
On either side of the political fence
We share the same biology, regardless of ideology
Believe me when I say to you
I hope the Russians love their children too
There is no historical precedent
To put the words in the mouth of the president?
There's no such thing as a winnable war
It's a lie we don't believe anymore
Mister Reagan says, "We will protect you"
I don't subscribe to this point of view
Believe me when I say to you
I hope the Russians love their children too
We share the same biology, regardless of ideology
But what might save us, me and you
Is if the Russians love their children too


Sting, Dall'album The dream of the blue turtles




La luna di Kiev
Chissà se la luna
di Kiev
è bella
come la luna di Roma,
chissà se è la stessa
o soltanto sua sorella...

"Ma son sempre quella!
- la luna protesta -
non sono mica
un berretto da notte
sulla tua testa!

Viaggiando quassù
faccio lume a tutti quanti,
dall'India al Perù,
dal Tevere al Mar Morto,
e i miei raggi viaggiano
senza passaporto".


Gianni Rodari, Filastrocche in cielo e in terra




Requiem per un nemico ignoto
Crivellato di buchi neri,
Leutnant Adolf Enne Enne
in questa stanza del malanno
ti faccio posto volentieri.

Al mio "Morior ergo sum"
declamato contro il muro
vieni ad aggiungere pure
il bisbiglio del tuo "Warum?"

Vieni, entra sul letto a rotelle;
fra la mia branda e la porta
ci sta anche la tua morte,
mio più infelice fratello.

Ma prima conoscimi almeno,
scambiamoci un ja con un sì,
Leutnant Rudolf Chissachì
da Chissadove sul Meno.

Apri gli occhi, vedi: s'accende
ai vetri e s'attorce un angue
di secca luce e s'insanguina
nel sangue delle tue bende.

Fa presto alla fine di giugno
il sole a farsi crudele;
irto di spine, di peli,
si fa duro come un pugno.

È un tempo sublime e vile
tal quale voi l'avete fatto;
non puoi che subirne il patto:
coltello contro fucile.

Tu ancora ieri, ricordi?
Hai piantato con mani rosse
dieci croci su dieci fosse...
Non chiedere misericordia.

Che t'aspettavi da noi,
qui dove la tempesta
portasti e l'odio, alla testa
d'un turpe branco d'eroi?

Perfetta macchina di male
sei stato per noi, forestiero,
dall'orlo della visiera
alla punta degli stivali!

Ed ora, per ultimo rancio,
sia buona o cattiva guerra
ti tocca mangiarla, la terra
dove fiorisce l'arancio.

Lassù Gretchen, Liselotte,
nella vecchia casa sul fiume,
rammendano accanto al lume
ignorano la tua morte.

È a loro che parli da solo?
Oppure al furetto sazio
che pigramente ti strazia
le viscere sotto il lenzuolo?

E questo gorgoglio che forse
nella tua ruvida lingua
mi dice una cosa e s'estingue,
è grido, preghiera, rimorso?

Ti premi con l'unghie l'addome,
con uno sforzo ti volti,
mi guardi: sai già che t'ho assolto,
Leutnant Hermann Senzanome.


Gesualdo Bufalino, L'amaro miele




Preghiera del buonumore
Dammi o Signore, una buona digestione
ed anche qualcosa da digerire.

Dammi la salute del corpo,
col buonumore necessario per mantenerla.

Dammi o Signore, un'anima santa,
che faccia tesoro di quello che è buono e puro,
affinché non si spaventi del peccato,
ma trovi alla Tua presenza
la via per rimettere di nuovo le cose a posto.

Dammi un'anima che non conosca la noia,
i brontolamenti, i sospiri e i lamenti,
e non permettere che io mi crucci eccessivamente
per quella cosa troppo invadente che si chiama "io".

Dammi, o Signore, il senso dell'umorismo,
concedimi la grazia di comprendere uno scherzo,
affinché conosca nella vita un po' di gioia
e possa farne parte anche ad altri.

Così sia.


Tommaso Moro, Preghiera del buonumore




"Vede Julius, perché le cose vadano bene, è necessario che gli uomini si comportino in un determinato modo. Abbiamo una bella casa, degli apparecchi elettrici, una bella automobile, una moglie elegante che ci regala dei bei bambini e li alleva a dovere. Frequentiamo la nostra parrocchia e il nostro circolo, guadagniamo ogni anno di più. Non è così in tutto il mondo?"
"Forse qui le cose sono più perfette."
"Perché siamo più ricchi. Da noi ci sono dei poveri che hanno l'automobile, e i negri che lavorano nelle piantagioni di cotone possiedono quasi tutti un vecchio macinino. Siamo un grande popolo, Julius!"
"Sono d'accordo con lei", rispose sinceramente Maigret.
"Eppure, ci sono dei momenti in cui la casa confortevole, il sorriso della moglie, i bambini ben tenuti, l'automobile, l'ufficio, il conto in banca non bastano più. Succede anche da voi?"
"Credo che succeda dappertutto."
"E allora, caro Julius, le darò la mia ricetta, che milioni di persone qui conoscono e usano. Si entra in un bar come questo, non importa quale, tanto si assomigliano tutti. Il barista la chiama col suo nome di battesimo o con un nome qualsiasi se non la conosce, e anche questo non ha nessuna importanza. Le fa scivolare un bicchiere davanti e glielo riempie ogni volta che lo vede vuoto.
A un certo punto uno sconosciuto le batte amichevolmente sulla spalla e le racconta la sua storia. Il più delle volte le mostra la fotografia di sua moglie e dei suoi bambini e finisce per confessare di essere un gran porco.
Qualche volta un tipo che ha la sbornia malinconica la guarda di traverso e, senza alcuna ragione, la copre d'insulti.
Non importa. In tutti i modi, all'una del mattino la mettono fuori, perché così vuole la legge, e la legge è sempre la legge.
Si cerca allora di ritornare a casa senza andare a finire contro un lampione, altrimenti si finisce al fresco per aver guidato in stato di ubriachezza. E l'indomani mattina si ricorre alla bottiglietta blu che lei conosce. Un bel bagno caldo, seguito da una doccia gelata, e il mondo è di nuovo piacevole: si prova un senso di felicità nel ritrovare la propria casa in ordine, le strade belle pulite, la macchina che fila senza rumore e l'ufficio con l'aria refrigerata. La vita è bella, Julius!"
Maigret guardava nell'angolo le due coppie che li osservavano.
In conclusione Bessy era morta perché la vita era bella!

Georges Simenon, Maigret dal giudice




Una goccia d'acqua sale i gradini della scala. La senti? Disteso in letto nel buio, ascolto il suo arcano cammino. Come fa? Saltella? Tic, tic, si ode ad intermittenza. Poi la goccia si ferma e magari per tutta la rimanente notte non si fa più viva. Tuttavia sale. Di gradino in gradino viene su, a differenza delle altre gocce che cascano perpendicolarmente, in ottemperanza alla legge di gravità, e alla fine fanno un piccolo schiocco, ben noto in tutto il mondo. Questa no: piano piano si innalza lungo la tromba delle scale lettera E dello sterminato casamento. Non siamo stati noi, adulti, raffinati, sensibilissimi, a segnalarla. Bensì una servetta del primo piano, squallida piccola ignorante creatura. Se ne accorse una sera, a ora tarda, quando tutti erano già andati a dormire. Dopo un po' non seppe frenarsi, scese dal letto e corse a svegliare la padrona.
"Signora" sussurrò "signora!".
"Cosa c'è?" fece la padrona riscuotendosi. "Cosa succede?".
"C'è una goccia signora, una goccia che vien su per le scale!".
"Che cosa?" chiese l'altra sbalordita.
"Una goccia che sale i gradini!" ripetè la servetta e quasi si metteva a piangere.
"Va, va" imprecò la padrona "sei matta? Torna in letto, marsch! Hai bevuto, ecco il fatto, vergognosa. È un pezzo che al mattino manca il vino nella bottiglia! Brutta sporca, se credi..".
Ma la ragazzetta era fuggita, già rincattucciata sotto le coperte.
"Chissà che cosa le sarà mai saltato in mente, a quella stupida" pensava poi la padrona, in silenzio, avendo ormai perso il sonno. Ed ascoltando involontariamente la notte che dominava sul mondo, anche lei udì il curioso rumore. Una goccia saliva le scale, positivamente. Gelosa dell'ordine, per un istante la signora pensò di uscire a vedere. Ma che cosa mai avrebbe potuto trovare alla miserabile luce delle lampadine oscurate, pendule dalla ringhiera? Come rintracciare una goccia in piena notte, con quel freddo, lungo le rampe tenebrose? Nei giorni successivi, di famiglia in famiglia, la voce si sparse lentamente e adesso tutti lo sanno nella casa, anche se preferiscono non parlarne, come di cosa sciocca di cui forse vergognarsi. Ora molte orecchie restano tese, nel buio, quando la notte è scesa a opprimere il genere umano. E chi pensa ad una cosa e chi ad un'altra.
Certe notti la goccia tace. Altre volte invece, per lunghe ore non fa che spostarsi, su, su, si direbbe che non si debba più fermare. Battono i cuori allorchè il tenero passo sembra toccare la soglia. Meno male, non si è fermata. Eccola che si allontana, tic, tic, avviandosi al piano di sopra. So di positivo che gli inquilini dell'ammezzato pensano di essere ormai al sicuro. La goccia - essi credono - è già passata davanti alla loro porta, né avrà più occasione di disturbarli; altri, ad esempio io che sto al sesto piano, hanno adesso motivi di inquietudine, non più loro. Ma chi gli dice che nelle prossime notti la goccia riprenderà il cammino dal punto dove era giunta l'ultima volta, o piuttosto non ricomincerà da capo, iniziando il viaggio dai primi scalini, umidi sempre, ed oscuri di abbondante immondizia? No, neppure loro possono ritenersi sicuri. Al mattino, uscendo di casa, si guarda attentamente la scala se mai sia rimasta qualche traccia. Niente, come era prevedibile, non la più piccola impronta. Al mattino del resto chi prende più questa storia sul serio? Al sole del mattino l'uomo è forte, è un leone, anche se poche ore prima sbigottiva. O che quelli dell'ammezzato abbiano ragione? Noi del resto, che prima non sentivamo niente e ci si teneva esenti, da alcune notti pure noi udiamo qualcosa. La goccia è ancora lontana, è vero. A noi arriva solo un ticchettio leggerissimo, flebile eco attraverso i muri. Tuttavia è segno che essa sta salendo e si fa sempre più vicina. Anche il dormire in una camera interna, lontana dalla tromba delle scale, non serve. Meglio sentirlo, il rumore, piuttosto che passare le notti nel dubbio se ci sia o meno. Chi abita in quelle camere riposte talora non riesce a resistere, sguscia in silenzio nei corridoi e se ne sta in anticamera al gelo, dietro la porta, col respiro sospeso, ascoltando. Se la sente, non osa più allontanarsi, schiavo di indecifrabili paure. Peggio ancora però se tutto è tranquillo: in questo caso come escludere che, appena tornati a coricarsi, proprio allora non cominci il rumore?
Che strana vita, dunque. E non poter far reclami, nè tentare rimedi, nè trovare una spiegazione che sciolga gli animi. E non poter neppure persuadere gli altri, delle altre case, i quali non sanno. Ma che cosa sarebbe poi questa goccia: - domandano con esasperante buona fede - un topo forse? Un rospetto uscito dalle cantine? No davvero. E allora - insistono - sarebbe per caso un'allegoria? Si vorrebbe per così dire, simboleggiare la morte? o qualche pericolo? e gli anni che passano? Niente affatto, signori: è semplicemente una goccia, solo che viene su per le scale. O più sottilmente si intende raffigurare i sogni e le chimere? Le terre vagheggiate e lontane dove si presume la felicità? Qualcosa di poetico insomma? No, assolutamente. Oppure i posti più lontani ancora, al confine del mondo, ai quali mai giungeremo? Ma no, vi dico, non è uno scherzo, non ci sono doppi sensi, trattasi ahimè proprio di una goccia d'acqua, a quanto è dato presumere, che di notte viene su per le scale. Tic tic, misteriosamente, di gradino in gradino. E perciò si ha paura.

Dino Buzzati, Una goccia




Nell'inverno del 1940 il giovane Sartre è prigioniero di guerra dei nazisti, a Treviri. Due sacerdoti compagni di prigionia gli chiedono di scrivere qualcosa sul Natale: nasce così Bariona, un breve dramma che verrà effettivamente rappresentato nel campo di prigionia, la notte di Natale di quell'anno.
La storia parla di Bariona, capo di un piccolo e povero villaggio vicino a Betlemme. Pieno di rancore verso i Romani che opprimono la sua gente con imposte sempre più gravose, Bariona sceglie una forma di ribellione estrema: nessuno nel villaggio dovrà avere più figli. In questo modo, a poco a poco, la popolazione si estinguerà e i Romani non avranno più nessuno da cui esigere tributi. Due annunci sconvolgono però i piani di Bariona: dapprima Sara, la sua donna, gli comunica di essere incinta. Poco dopo giungono alcuni pastori a raccontare un fatto straordinario: un angelo ha annunciato loro che, a Betlemme, è nato il Messia!
L'intero villaggio, inclusa Sara, si mobilita per recarsi alla grotta, pieno di speranza. La speranza è proprio ciò che Bariona vorrebbe estirpare dal cuore dei suoi compatrioti, convinto com'è che il loro tragico destino non possa essere cambiato da nessun Messia; per questo anche lui decide di andare a Betlemme, ma di nascosto, per una scorciatoia, per uccidere il Bambino Gesù.
Di Bariona presentiamo due brani, entrambi dedicati alla Natività.
Nel primo di essi, a parlare è il presentatore di immagini, una sorta di cantastorie.


La montagna brulica di uomini in festa e il vento porta l'eco della loro gioia fino alla sommità delle cime. (...) Ecco la la Vergine ed ecco Giuseppe ed ecco il Bambino Gesù. (...) La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L'ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! Ma in altri momenti, rimane interdetta e pensa: Dio è là, e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino così terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita e che popolano di pensieri estranei. Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre poiché egli è Dio ed è oltre tutto ciò che lei può immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio. Ma (...) ci sono anche altri momenti, rapidi e difficili, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: "Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia". E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive. Ed è in questi momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l'espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride. Questo è tutto su Gesù e sulla Vergine Maria.E Giuseppe? Giuseppe, non lo dipingerei. Non mostrerei che un'ombra in fondo al pagliaio e due occhi brillanti. Poiché non so cosa dire di Giuseppe e Giuseppe non sa che dire di se stesso. Adora ed è felice di adorare e si sente un po' in esilio. Credo che soffra senza confessarselo. Soffre perché vede quanto la donna che ama assomigli a Dio, quanto già sia vicino a Dio. Poiché Dio è scoppiato come una bomba nell'intimità di questa famiglia. Giuseppe e Maria sono separati per sempre da questo incendio di luce. E tutta la vita di Giuseppe, immagino, sarà per imparare ad accettare.

Il secondo brano ci consegna le parole e i pensieri dello stesso Bariona che, arrivato a Betlemme prima di tutti i suoi amici, scruta di nascosto la grotta, aspettando l'attimo favorevole per uccidere Gesù Bambino.

Non ho nulla a che fare con gli angeli! È ora, poiché gli altri saranno là presto. Questa sarà l'ultima prodezza di Bariona: strangolare un bambino. La lampada fuma, le ombre salgono fino al soffitto, come grandi pile mobili. La donna mi gira la schiena e non vedo il bambino: è sulle sue ginocchia, immagino. Ma vedo l'uomo. È vero: come la guarda! Con quali occhi! Che cosa può avere dietro quei due occhi chiari, chiari come due limpide profondità in questo viso dolce e segnato? Quale speranza? Per noi non c'è speranza. E quali nuvole di orrore salirebbero dal fondo di se stesso e verrebbero ad oscurare quelle due macchie di cielo se mi vedesse strangolare il suo bambino. Bene, questo bambino, non l'ho visto, ma so già che non lo toccherò. Per trovare il coraggio di spegnere questa giovane vita tra le mie dita, non avrei dovuto scorgerlo dapprima in fondo agli occhi di suo padre.
Jean Paul Sartre, Bariona o il figlio del tuono, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2003




Ne L'ombra del Padre (1977), J. Dobraczynski, il più noto scrittore cattolico polacco del '900, si cimenta nell'ardua impresa di costruire la "storia di Giuseppe" in forma romanzata, giovandosi delle fonti scritturistiche e del vasto materiale letterario di origine apocrifa o tradizionale.
Nella pagina che proponiamo, lo scrittore ci presenta uno dei momenti centrali dell'opera, la nascita del Bambino.


Dietro le spalle udì la voce di Ata:
- Oh, Giuseppe, rallegrati! Rallegrati molto. È un maschio. Hai un figlio maschio. È nato felicemente. È tanto bello. Tua moglie ti chiama...
Gli era soltanto sembrato che nella parola "moglie" risuonasse una sorta di rispetto straordinario? Entrò di corsa nella grotta. Il focolare continuava a fumare, il fumo continuava a pungere gli occhi. Attraverso il fumo, come attraverso una nebbia, scorse Miriam china sulla mangiatoia. Proprio là, sotto i musi degli animali, aveva sistemato il Neonato. Si chinò. Sulla paglia era adagiato un Bambino, un qualsiasi bambino umano. Aveva le palpebre serrate, come se si sforzasse di non guardare, e la boccuccia socchiusa, come se cercasse qualcosa. Non era diverso dai neonati che aveva già visti. Le piccole mani, livide, strette a pugnetto, non si protendevano verso una spada. Era piccolo e debole. Aveva bisogno di cure. Il bue e l'asino osservavano il Bimbo dall'alto, con sui musi un'espressione simile a comprensione bonaria. Il cane si protendeva e leccava la manina levata.
- GuardaLo, Giuseppe - sussurrò Miriam - Come è bello.
- Bellissimo - pronunciò in un soffio.
- Si chiamerà Gesù... Lo permetti, vero?
- Si chiamerà come tu vuoi.
- Il nostro Gesù - sussurrò -, nostro Figlio...
Giuseppe infilò le mani sotto il Bimbo e lo sollevò. Era leggero leggero, pareva che pesasse non più degli stracci che lo avvolgevano. L'antica usanza esigeva che il padre sollevasse il figlio e lo ponesse sulle sue ginocchia. Lo sguardo sorridente di Miriam, esprimeva il suo desiderio. Compì il gesto tradizionale. E mentre guardava l'Infante appoggiato sulle sue ginocchia, provò strani sentimenti. Ancora un attimo prima si ribellava quasi contro il Neonato. Adesso provava vergogna di quei pensieri. Non era nato un gigante pronto alla lotta. Fra le mani sentiva il corpicino delicato, fragile. Le mani del Bimbo si agitavano con il movimento vago dei neonati. Ad un tratto aprì gli occhi serrati. Vide l'iride scura e le cornee azzurrine. Guardò interrogativamente quegli occhi ma il Bambino, come un qualsiasi neonato, fissava un punto nello spazio. Continuava a muovere la boccuccia. Si alzò nuovamente, lo pose ancora sulla mangiatoia. Miriam lo avvolse in un lembo strappato dalla tunica. Non avevano nulla per vestire il Bambino, erano tanto fiduciosi che avrebbero ottenuto tutto dalle moglie dei suoi fratelli!
Timidamente, colmo di una nuova tenerezza, toccò il capo di Miriam chino sulla mangiatoia.
- Adesso - disse lui - devi riposarti, dormire. Lui vuole dormire. Ata veglierà. E io non mi allontanerò. Sta tranquilla, non chiuderò occhio. Veglierò.
Miriam volse il viso verso di lui, toccò con il dorso della mano la guancia di Giuseppe.
- So che veglierai - sussurrò.
- Dunque dormi.
- Dormirò. - Già accomodava il capo sulla paglia, allorché chiese: - Lo amerai?
- Potrei forse non amarlo?
- Hai ragione: non potresti. Né tu, né nessuno.. Ma tu - toccò con il dito il petto di Giuseppe - devi essere il padre. è il nostro Gesù..
Sorrise ancora una volta e poi chiuse gli occhi. Dopo un attimo dormiva. Giuseppe sedette presso la mangiatoia. Con il capo appoggiato alla mano, osservava il Bimbo dormiente. Il fumo continuava a pungere gli occhi. Il cane si era accucciato vicino ai suoi piedi. Nel silenzio si sentiva il respiro delle persone e degli animali. Di tanto in tanto il fuoco scoppiettava.

Jan Dobraczynski, L'ombra del padre, Morcelliana, Brescia 1980




Nel 1927 Richard de la Mare, direttore della casa editrice indipendente londinese Faber & Gwyer, chiese a famosi scrittori e illustratori di contribuire con versi e disegni ad una serie di opuscoli di poesie da inviare ai clienti al posto delle cartoline. La Faber & Gwyer riuscì ad assicurarsi la collaborazione di grandi compositori tra cui T.S. Eliot, che al progetto dedicò sei poesie, tra cui Il viaggio dei Magi e La coltura degli alberi di Natale, di cui proponiamo la lettura in questo periodo.


The journey of the Magi

"A cold coming we had of it,
Just the worst time of the year
For a journey, and such a long journey:
The ways deep and the weather sharp,
The very dead of winter".
And the camels galled, sore-footed, refractory,
Lying down in the melting snow.
There were times we regretted
The summer palaces on slopes, the terraces,
And the silken girls bringing sherbet.
Then the camel men cursing and grumbling
And running away, and wanting their liquor and women,
And the night-fires going out, and the lack of shelters,
And the cities hostile and the towns unfriendly
And the villages dirty and charging high prices:
A hard time we had of it.
At the end we preferred to travel all night,
Sleeping in snatches,
With the voices singing in our ears, saying
That this was all folly.
Then at dawn we came down to a temperate valley,
Wet, below the snow line, smelling of vegetation;
With a running stream and a water-mill beating the darkness,
And three trees on the low sky,
And an old white horse galloped away in the meadow.
Then we came to a tavern with vine-leaves over the lintel,
Six hands at an open door dicing for pieces of silver,
And feet kicking the empty wine-skins.
But there was no information, and so we continued
And arrived at evening, not a moment too soon
Finding the place; it was (you may say) satisfactory.
All this was a long time ago, I remember,
And I would do it again, but set down
This set down
This: were we led all that way for
Birth or Death? There was a Birth, certainly,
We had evidence and no doubt. I had seen birth and death,
But had thought they were different; this Birth was
Hard and bitter agony for us, like Death, our death.
We returned to our places, these Kingdoms,
But no longer at ease here, in the old dispensation,
With an alien people clutching their gods.
I should be glad of another death.


Il viaggio dei Magi

"Fu un freddo avvento per noi,
proprio il tempo peggiore dell'anno
per un viaggio, per un lungo viaggio come questo:
le vie fangose e la stagione rigida,
nel cuore dell'inverno".
E i cammelli piagati, coi piedi sanguinanti, indocili,
sdraiati nella neve che si scioglie.
Vi furono momenti in cui noi rimpiangemmo
i palazzi d'estate sui pendii, le terrazze,
e le fanciulle seriche che portano il sorbetto.
Poi i cammellieri che imprecavano e maledicevano
e disertavano, e volevano donne e liquori,
e i fuochi notturni s'estinguevano, mancavano ricoveri,
e le città ostili e i paesi nemici
ed i villaggi sporchi e tutto a caro prezzo:
ore difficili avemmo.
Preferimmo alla fine viaggiare di notte,
dormendo a tratti,
con le voci che cantavano agli orecchi, dicendo
che questo era tutto follia.
Poi all'alba giungemmo a una valle più tiepida,
umida, sotto la linea della neve, tutta odorante di vegetazione;
con un ruscello in corsa ed un mulino ad acqua che batteva buio,
e tre alberi contro il cielo basso,
ed un vecchio cavallo bianco al galoppo sul prato.
Poi arrivammo a una taverna con l'architrave coperta di pampini,
sei mani ad una porta aperta a dadi monete d'argento,
e piedi davano calci agli otri vuoti.
Ma non avemmo alcuna informazione, e così proseguimmo
ed arrivati a sera non solo un momento troppo presto
trovammo il posto; cosa soddisfacente (voi direte).
Tutto questo fu molto tempo fa, ricordo,
e lo farei di nuovo, ma considerate
questo considerate
questo: ci trascinammo per tutta quella strada per una
Nascita o una Morte? Vi fu una Nascita, certo,
ne avemmo prova e non avemmo dubbio. Avevo visto nascita e morte,
ma le avevo pensate differenti; per noi questa Nascita fu
come un'aspra ed amara sofferenza, come la Morte, la nostra morte.
Tornammo ai nostri luoghi, ai nostri Regni,
ma ormai non più tranquilli, nelle antiche leggi,
fra un popolo straniero che è rimasto aggrappato ai propri idoli.
Io sarei lieto di un'altra morte.

Thomas Stearns Eliot, Poesie, Oscar Mondadori, Milano 1971




The Cultivation of Christmas Trees

There are several attitudes towards Christmas,
Some of which we may disregard:
The social, the torpid, the patently commercial,
The rowdy (the pubs being open till midnight),
And the childish - which is not that of the child
For whom the candle is a star, and the gilded angel
Spreading its wings at the summit of the tree
Is not only a decoration, but an angel.
The child wonders at the Christmas Tree:
Let him continue in the spirit of wonder
At the Feast as an event not accepted as a pretext;
So that the glittering rapture, the amazement
Of the first-remembered Christmas Tree,
So that the surprises, delight in new possessions
(Each one with its peculiar and exciting smell),
The expectation of the goose or turkey
And the expected awe on its appearance,
So that the reverence and the gaiety
May not be forgotten in later experience,
In the bored habituation, the fatigue, the tedium,
The awareness of death, the consciousness of failure,
Or in the piety of the convert
Which may be tainted with a self-conceit
Displeasing to God and disrespectful to children
(And here I remember also with gratitude
St. Lucy, her carol, and her crown of fire):
So that before the end, the eightieth Christmas
(By "eightieth" meaning whichever is last)
The accumulated memories of annual emotion
May be concentrated into a great joy
Which shall be also a great fear, as on the occasion
When fear came upon every soul:
Because the beginning shall remind us of the end
And the first coming of the second coming.



La coltura degli alberi di Natale

Vi sono molti atteggiamenti riguardo al Natale,
e alcuni li possiamo trascurare:
il torpido, il sociale, quello sfacciatamente commerciale,
il rumoroso (essendo i bar aperti fino a mezzanotte),
e l'infantile - che non è quello del bimbo
che crede ogni candela una stella, e l'angelo dorato
spiegante l'ali alla cima dell'albero
non solo una decorazione, ma anche un angelo.
Il fanciullo di fronte all'albero di Natale:
lasciatelo dunque in spirito di meraviglia
di fronte alla Festa, a un evento accettato non come pretesto;
così che il rapimento splendido, e lo stupore
del primo albero di Natale ricordato, e le sorprese, l'incanto
dei primi doni ricevuti (ognuno
con un profumo inconfondibile e eccitante),
e l'attesa dell'oca o del tacchino, l'evento
atteso e che stupisce al suo apparire,
e reverenza e gioia non debbano
essere mai dimenticate nella più tarda esperienza,
nella stanca abitudine, nella fatica, nel tedio,
nella consapevolezza della morte, nella coscienza del fallimento.
Nella pietà del convertito
Che si potrebbe tingere di vanagloria
Spiacente a Dio e irrispettosa verso i fanciulli
(E qui ricordo con gratitudine anche
Santa Lucia, con la sua canzoncina e la sua corona di fuoco)
Così che prima della fine, l'ottantesimo Natale
(per "ottantesimo" intendo l'ultimo, qualunque esso sia)
Le accumulate memorie dell'emozione annuale
Possano concentrarsi in una grande gioia
Simile sempre a un grande timore, come nell'occasione
In cui il timore giunse ad ogni anima
Perché l'inizio ci ricorderà la fine
E la prima venuta la seconda venuta.

Thomas Stearns Eliot, Poesie, Oscar Mondadori, Milano 1971




Dopo la pioggia
sopra nuvole basse
inizia
il barlume e l'aurora.

Tripudiano uccelli
sugli alberi gonfi
cantando
la luce che cresce.

Al trillo dell'uno
risponde uno zirlo,
colmando
il sereno di gioia.

Ignaro e distratto
dorme l'umano
rinviando
la vita all'azione.

Rumore non turba
la lode dei piccoli alati
urgendo
col cibo la gioia e la fretta.

A breve per l'uomo
riprende
la furia del giorno
il tempo affannoso

il frastuono del mondo.
La pace dell'alba,
respiro del creato,
è dono, caparra di grazia.

Romana Romano




È Natale ogni volta
che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano.
È Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l'altro.
È Natale ogni volta
che non accetti quei principi
che relegano gli oppressi
ai margini della società.
È Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.
È Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.
È Natale ogni volta
che permetti al Signore
di rinascere per donarlo agli altri.

Madre Teresa di Calcutta, È Natale




Ogni mattino e ogni pomeriggio continuavo a recarmi nel quartiere dai tranquilli viali dov'era il mio ufficio, e alle volte ricordavo il giorno d'autunno in cui c'ero venuto la prima volta, quando in ogni cosa che vedevo cercavo un segno, e mi pareva che nulla fosse abbastanza grigio e squallido per come mi sentivo. Anche adesso il mio sguardo cercava solo dei segni; altro non ero mai stato capace di vedere. Segni di cosa? segni che si rimandavano l'un l'altro all'infinito.
Così mi capitava alle volte in quel quartiere d'incontrare un carro tirato da un mulo: un carretto a due ruote, che andava per un controviale, carico di sacchi. Oppure lo incontravo fermo ad un portone, il muletto alle stanghe che chinava il capo, e in cima al mucchio di sacchi bianchi una bambina.
Poi m'accorsi che non c'era solo un carro così, che girava da quelle parti, ma erano in diversi. Non saprei dire quando cominciai ad accorgermene; uno vede tante cose e non ci bada; magari queste cose che vede hanno un effetto su di lui ma lui non se ne accorge; poi comincia una volta a collegare una cosa con l'altra e allora improvvisamente tutto acquista significato.
Italo Calvino, La nuvola di smog, da I Racconti



Autunno dell'anima
Come il sole
le ossa,
lascia scaldare il cuore.

Cenni di affetto
sprazzi di luce
barlumi di memoria.

Il corpo stanco
non contiene
il pensiero vivido

l'agire necessario
l'ansia della vita.
Nuovo ritmo

scandisce il respiro
dilata le ore
acuisce i sensi.

I colori caldi,
suadenti e rossi,
del giorno autunnale

colmano di piccole
gioie inattese
il tempo imprevisto.

Romana Romano




Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c'era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d'occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d'arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c'erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.
Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all'alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l'avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall'aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre.
I dolci erano quelli rituali, detti "dei morti": marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, "rami di meli" fatti di farina e miele, "mustazzola" di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il "pupo di zucchero" che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza.
A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: "Che ti portarono quest'anno i morti?". Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l'anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.
Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un'affettuosa consuetudine.
Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l'albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e "stampato", come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire.

Andrea Camilleri, Il giorno che i morti persero la strada di casa, I Racconti quotidiani




Il vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui si accorgono solo poche anime sensibili, come i raffreddati del fieno, che starnutano per pollini di fiori d'altre terre.
Un giorno, sulla striscia d'aiola d'un corso cittadino, capitò chissà donde una ventata di spore, e ci germinarono dei funghi. Nessuno se ne accorse tranne il manovale Marcovaldo che proprio lì prendeva ogni mattina il tram.
Aveva questo Marcovaldo un occhio poco adatto alla vita di città: cartelli, semafori, vetrine, insegne luminose, manifesti, per studiati che fossero a colpire l'attenzione mai fermavano il suo sguardo che pareva scorrere sulle sabbie del deserto. Invece, una foglia che ingiallisse su un ramo, una piuma che si impigliasse ad una tegola, non gli sfuggivano mai: non c'era tafano sul dorso di un cavallo, pertugio di tarlo in una tavola, buccia di fico spiaccicata sul marciapiede che Marcovaldo non notasse, e non facesse oggetto di ragionamento, scoprendo i mutamenti della stagione, i desideri del suo animo, e la miseria della sua esistenza.
Così un mattino, aspettando il tram che lo portava alla ditta dov'era uomo di fatica, notò qualcosa di insolito presso la fermata, nella striscia di terra sterile e incrostata che segue l'alberatura del viale: in certi punti, al ceppo degli alberi, sembrava si gonfiassero bernoccoli che qua e là s'aprivano e lasciavano affiorare tondeggianti corpi sotterranei.
Si chinò a legarsi le scarpe e guardò meglio: erano funghi, veri funghi, che stavano spuntando proprio nel cuore della città! A Marcovaldo parve che il mondo grigio e misero che lo circondava diventasse tutt'a un tratto generoso di ricchezze nascoste, e che dalla vita ci si potesse ancora aspettare qualcosa, oltre la paga oraria del salario contrattuale, la contingenza, gli assegni familiari e il caropane.

Italo Calvino, Funghi in città, I Racconti




Per fortuna, quando la salita cominciò, Ciàula fu ripreso dalla paura del bujo della notte, a cui tra poco si sarebbe affacciato. Attraversando le gallerie, quella sera, non gli era venuto il solito verso della cornacchia, ma un gemito raschiato, protratto. Ora, su per la scala, anche questo gemito gli venne meno, arrestato dallo sgomento del silenzio nero che avrebbe trovato nella impalpabile vacuità di fuori. La scala era così erta, che Ciàula, con la testa protesa e schiacciata sotto il carico, pervenuto all'ultima svoltata, per quanto spingesse gli occhi a guardare in su, non poteva veder la buca che vaneggiava in alto. Curvo, quasi toccando con la fronte lo scalino che gli stava sopra, e su la cui lubricità la lumierina vacillante rifletteva appena un fioco lume sanguigno, egli veniva su, su, su, dal ventre della montagna, senza piacere, anzi pauroso della prossima liberazione. E non vedeva ancora la buca, che lassù lassù si apriva come un occhio chiaro, d'una deliziosa chiarità d'argento.
Se ne accorse solo quando fu agli ultimi scalini. Dapprima, quantunque gli paresse strano, pensò che fossero gli estremi barlumi del giorno. Ma la chiaría cresceva, cresceva sempre più, come se il sole, che egli aveva pur visto tramontare, fosse rispuntato. Possibile?
Restò - appena sbucato all'aperto - sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle. Sollevò un poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità d'argento. Grande, placida, come in un fresco, luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna. Si, egli sapeva, sapeva che cos'era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è data mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna? Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva. Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola, eccola là, la Luna... C'era la Luna! La Luna! E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, là, mentr'ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore.

Luigi Pirandello, Ciàula scopre la luna, Novelle per un anno




Vola in alto il falco
planando in cerchio
sull'aria.
Gode la vastità
del cielo azzurro,
cerca sul terreno
la preda.

Uomini in cerchio
godono dell'ora.
Amena e tersa
dimora
fra gli alberi,
l'anima si ciba
di canti.

Nutrimento
del corpo
per l'essere in volo
sostanza
dello spirito
per chi
desidera salvezza.
Romana Romano




Sono più miti le mattine
e più scure diventano le noci
e le bacche hanno un viso più rotondo.
La rosa non è più nella città.
L'acero indossa una sciarpa più gaia.
La campagna una gonna scarlatta,
Ed anch'io, per non essere antiquata,
mi metterò un gioiello.
Emily Dickinson, L'estate è finita




Perché mai, si chiedeva Scobie facendo fare uno scarto alla macchina per evitare un cane morto, amo tanto questo posto? È forse perché qui la natura umana non ha ancora avuto il tempo di mascherarsi? Qui nessuno avrebbe mai potuto parlare di un paradiso in terra: il cielo rimaneva rigidamente al proprio posto al di là della morte, e al di qua prosperavano le ingiustizie, le crudeltà, le grettezze che altrove la gente riusciva abilmente a mascherare. Qui si potevano amare le creature umane quasi come le ama Dio stesso conoscendo il peggio di loro: qui non si amava una posa, un bell'abito, un sentimento assunto artificialmente.
Graham Greene, Il nocciolo della questione




Rocce frastagliate
segnano il sereno.
Stretto il litorale
eroso dall'onda

conduce al mare
lo sguardo.
Barche alla culla
della boa

uomini
anelanti
spazi infiniti
lembi di paradiso.

Più oltre
salti argentati
rallegrano l'acqua
frizzante di vita.

Attimi di gioia
rasserenano
il respiro e colmano
il cuore.

Pacifico il cosmo
salino
donando refrigerio
lenisce l'attesa.

Romana Romano




Ecco una città e un popolo ferocemente percossi dalle sventure della guerra, e sul conto dei quali si pronunzia spesso la parola "eroismo". Questo termine marmoreo io lo ritengo tuttavia superato, agli effetti umani, dalle caratteristiche di un qualsiasi don Ignazio.
La possibilità di rialzarsi dopo ogni caduta; una remota, ereditaria, intelligente, superiore pazienza. Arrotoliamo i secoli, i millenni, e forse ne troveremo l'origine nelle convulsioni del suolo, negli sbuffi di mortifero vapore che erompevano improvvisi, nelle onde che scavalcavno le colline, in tutti i pericoli che qui insidiavano la vita umana; è l'oro di Napoli questa pazienza.
Sono molto antichi i "sette spiriti" di don Ignazio; perciò egli non può allontanarsi da Mergellina, dove risiedono i suoi allievi di chitarra.
Il mare è due passi, assorto e solenne davanti a questo martirio come un'acquasantiera. Non appena il cielo sarà sgombro di minacce - pensavo nel maggio del 1943 - i napoletani intingeranno le dita in questa cara acqua benigna, e fattisi il segno della Croce ricominceranno a lavorare e a ridere.
Giuseppe Marotta, L'oro di Napoli




Nulla può separarci, in questo mondo o nell'altro, da ciò che abbiamo amato più di noi stessi, più della vita, più della salvezza.

Il più miserabile degli uomini viventi, anche se non crede più di amare, conserva ancora la possibilità d'amare.
George Bernanos, Diario di un curato di campagna



Argenteo mare
La brezza leggera
sulla cima dell'onda
inargenta nel sole
l'azzurro del mare

come nel salto
un banco di aguglie
risplende al tremolio
di luce della luna.

Intenso il respiro
del giorno e della notte
l'anima gode il silenzio
sul ciglio del pontile.

Più indietro, lontano
senza rimpianti,
è il suono umano
lungo la costa.

Nel cielo che annera
celato è il palpito
delle stelle
avare a mostrarsi.

Nel profondo
il cuore ritrova
sereno riposo
in quest'oasi di pace.
Romana Romano



Longing is like the Seed
Longing is like the Seed
That wrestles in the Ground,
Believing if it intercede
It shall at length be found.

The Hour and the Clime -
Each Circumstance unknown -
What Constancy must be achieved
Before it see the Sun!

Il desiderio è come il seme
Il desiderio è come il Seme
Che si dibatte nella Terra,
Convinto che se lei lo favorisce
Alla lunga lui potrà attecchire.

Ora e Regione -
Circostanze ignote entrambe -
Che Costanza si deve raggiungere
Prima che veda il Sole!

Emily Dickinson, Poems, 1255




Bruciano gli occhi
per il male del mondo.
Vicino
e in lontananza
esso domina
accende di rabbia
angustia la mente.

La lotta per il bene
è dentro e fuori l'uomo
contraddizione
di un orizzonte
vano
senza un amore
misericordioso.
Romana Romano



Oggi
Oggi tutto mi pare valicato
oggi il mio cuore
non è altro
che un battito di nostalgia.
Giuseppe Ungaretti



Confine
Livido il cielo
squassata
la chioma
di alberi e palme.

l'orizzonte
non segna il confine
del mare
perduto lontano.

Induce
visioni grigie
di gelo
fra voli affannati

in cerca di cibo.
Il futuro è briciola
verme riparo
bisbiglio.

La sirena ulula
vicina e lontana
richiamo ad un oltre
caparra di salvezza.
Romana Romano



Ruggine
Ferri arrugginiti
la salsedine
ha reso
le umane costruzioni.

Relitti di edifici
cemento scarnificato
carcasse senza vita
al sole del tempo.

Azzerare le macerie
semplifica il fare
l'idea tratteggia
il nuovo senza ferite.

Rasato il terreno
nel profondo
la coscienza trova
le radici del disegno.

Nello sguardo che colma
la mancanza, resistono
vestigia di bellezza
lampi di armonia.

Il sole inargenta
il mare immenso
sfiorandolo
con il respiro della luce.
Romana Romano



Il desiderio
Nel pallido sole invernale
parole non dicono
il desiderio.
Il freddo dirada la gioia.

Volti, brandelli di affanni
arcano e incerto
il mattino.
Profumi, respiri di bimbi

svelano un mare
di tenerezza
un mondo, una vita di pace
che rende serena l'attesa.
Romana Romano



George Gray
Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l'amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l'ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia,
ma una vita senza senso è la tortura
dell'inquietudine e del vano desiderio.
È una barca che anela al mare eppure lo teme.
Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon Rivers




I beni più preziosi non devono essere cercati ma attesi. L'uomo, infatti, non può trovarli con le sue sole forze, e se si mette a cercarli troverà al loro posto dei falsi beni di cui non saprà neppure riconoscere la falsità.
Simone Weil, Attesa di Dio



Prima del viaggio
Prima del viaggio si scrutano gli orari,
le coincidenze, le soste, le pernottazioni
e le prenotazioni (di camere con bagno
o doccia, a un letto o due o addirittura un flat);
si consultano le guide Hachette e quelle dei musei,
si cambiano valute, si dividono
franchi da escudos, rubli da copechi;
prima del viaggio s'informa
qualche amico o parente, si controllano
valigie e passaporti, si completa
il corredo, si acquista un supplemento
di lamette da barba, eventualmente
si dà un'occhiata al testamento, pura
scaramanzia perché i disastri aerei
in percentuale sono nulla;
prima del viaggio si è tranquilli ma si sospetta che
il saggio non si muova e che il piacere
di ritornare costi uno sproposito.
E poi si parte e tutto è O.K. e tutto
è per il meglio e inutile.

E ora, che ne sarà
del mio viaggio?
Troppo accuratamente l'ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
è la sola speranza. Ma mi dicono
che è una stoltezza dirselo.
Eugenio Montale, Satura



Lo studente
(...) Così si riscaldò al fuoco l'apostolo Pietro durante una nottata fredda - disse lo studente e tese le mani verso la fiamma. - Anche allora faceva freddo come ora. Ah! che nottata tremenda fu quella, nonna! Una nottata lunga, opprimente! Girò con lo sguardo nel buio, scosse convulsamente la testa e chiese: - Ci sei stata in chiesa per i dodici Evangeli? - Certo - rispose Vassilissa. - Ti ricordi di quel che disse Pietro a Gesù durante la cena? Disse: "Son pronto a seguirti in prigione e nella morte". Ma il Signore rispose: "Io ti dico, Pietro, che prima ché il gallo canti, tu avrai negato tre volte di conoscermi". Dopo l'ultima cena, Gesù fu assalito nel giardino da una tristezza mortale e si mise a pregare. Ma il povero Pietro era stanco e aveva perduto le forze; aveva le palpebre appesantite e non poteva lottare contro il sonno. S'addormentò ... Poi, tu l'hai sentito dire, in quella stessa notte Giuda baciò Gesù e lo consegnò ai suoi carnefici. Fu legato, condotto davanti ai gran sacerdoti e percosso; ma Pietro, spossato, torturato dal dolore e dall'agitazione, ebbe il presentimento di una cosa terribile che doveva accadere sul mondo, e lo seguiva... Egli amava Gesù appassionatamente, follemente. E, da lontano, vide che lo percuotevano... Lukèrja posò i cucchiai e guardò lo studente. - Arrivarono dal gran sacerdote - continuò. - Gesù fu interrogato, ma i servi avevano intanto acceso un fuoco nel cortile, perché faceva freddo, e si riscaldavano. Accanto a loro c'era Pietro. E anch'egli si riscaldava come faccio io ora. Allora una donna lo vide e disse: "Anche questo qui era con Gesù". Ciò significava che doveva esser condotto anche lui davanti ai giudici. E tutti i servi che erano presso il fuoco dovettero guardarlo con diffidenza e con ostilità, perché egli si turbò e disse: "Non lo conosco". Poco dopo egli fu riconosciuto da un'altra persona che disse ch'egli era un apostolo di Gesù ed esclamò: "Anche tu sei uno di quelli!". Ed egli lo rinnegò di nuovo. Un'altra persona si volse verso di lui: "Non sei tu quello che ho veduto oggi con lui nel giardino?" Allora egli lo rinnegò per la terza volta. E immediatamente il gallo cantò, e Pietro che vide Gesù da lontano, pensò alle parole che Gesù gli aveva dette la sera. Ci pensò, tornò alla ragione e pianse amaramente. L'Evangelo dice: "...e uscì e pianse amaramente". Mi figuro quella scena: un giardino molto silenzioso, molto buio, e in quel silenzio s'ode appena percettibile, un singhiozzo cupo... Lo studente sospirò e divenne pensoso. Vassìlissa, che aveva ancora il sorriso sulle labbra, scoppiò tutt'a un tratto in singhiozzi. Le lacrime le corsero giù per le gote, si coprì il volto con la manica, come per nasconderlo al fuoco, come se si vergognasse di quel pianto. Ma Lukèrja guardò fisso lo studente; era divventata rossa; il suo volto prese un'espressione grave, tesa, simile a quella di un essere che lotta contro un forte dolore. I contadini tornavano dal fiume; uno di essi era a cavallo e s'era avvicinato; il chiarore del fuoco vacillava su di lui. Lo studente augurò una buona notte alle due vedove e si mise in cammino per tornare a casa. Intorno a lui s'era rifatto buio. Soffiava un vento gelato. Era davvero ritornato l'inverno. Non sembrava d'essere all'antivigilia di Pasqua.
Lo studente pensò a Vassìlissa; se ella piangeva, significava che tutto ciò che era accaduto a Pietro in quella terribile notte aveva qualche rapporto con lei...
Si voltò indietro. Il fuoco solitario mandava una luce vacillante nelle tenebre, non si vedeva più nessuno. Lo studente pensò di nuovo che se Vassìlissa s'era messa a piangere e sua figlia s'era turbata, evidentemente ciò che era accaduto millenovecento anni addietro aveva qualche rapporto col presente, con le due donne e forse anche con quel villaggio deserto, con lui, con tutta l'umanità. La vecchia non s'era messa a piangere perché egli aveva saputo narrare quei fatti in modo commovente, ma perché Pietro le era vicino e perché ella aveva rivissuto con tutto il suo essere ciò che s'era svolto nell'anima di lui. E tutt'a un tratto un'ondata di gioia si sollevò nel suo cuore; si fermò un istante per riprender fiato. "Le epoche trascorse pensò, sono collegate ai nostri giorni da una catena ininterrotta di avvenimenti, ognuno dei quali è una conseguenza dell'altro". Gli sembrava d'aver visto poco prima le due estremità di questa catena: ne aveva toccata una e l'altra aveva tremato... Quando sbarcò dal traghetto sulla riva del fiume, poi, quando cominciò a salire la china, guardò il suo villaggio natìo, guardò verso Occidente, dove fiammeggiava la striscia fredda, purpurea del sole che tramontava; pensò che la verità e la bellezza, che avevano guidato la vita umana in quel giardino e nella corte del gran sacerdote, hanno agito fino al giorno d'oggi e sono sempre state le cose essenziali dell'esistenza, nostra e di tutto il mondo. E un senso di sana, energica giovinezza, egli aveva appena ventidue anni, s'impossessò a poco a poco di lui insieme all'attesa indescrivibilmente dolce della felicità, dell'ignota, misteriosa felicità. E la vita gli sembrò magnifica, piena di meraviglie e di significati profondi.
Anton Cechov, Racconti



Buona Pasqua
Non camminare davanti a me
potrei non seguirti;

non camminare dietro di me,
potrei non sapere dove andare.

Cammina a fianco a me
e sii per me un amico!
Albert Camus



Primavera 1938
Oggi, domenica di Pasqua, presto
un'improvvisa tempesta di neve
si è abbattuta sull'isola.
Tra i cespugli verdeggianti c'era neve. Il mio ragazzo
mi ha portato verso un piccolo albicocco attaccato alla casa
strappandomi ad un verso in cui puntavo il dito contro coloro
che stanno preparando una guerra che
può cancellare
il continente, quest'isola, il mio popolo,
la mia famiglia e me stesso. In silenzio
abbiamo messo un sacco
sopra all'albero tremante di freddo.
Bertolt Brecht



Segni nel sereno
Alberi spogli
segnano il sereno.
Protesi in alto
rami stecchiti
sono segni
di un uomo che grida.

Implora risposta
al dolore crescente
che toglie orpelli
alle ore già spese
al tempo riarso
al bene smarrito.

Solo l'amore
avuto e donato,
la fede in un padre
compagno al cammino
si fanno abbraccio
al Dio della vita.
Romana Romano



Responsabilità (Chiamata alla vita)
Greve il sonno pesa sugli occhi
mentre dolgono le membra ferite
nel miraggio del disiato riposo
l'anima anela un respiro profondo.

Il malanno non ti ha dato la fine
ma ha segnato la carne e la mente.
La vita di nuovo ridata, il tempo
che si è dilatato, si fanno domanda

impellente che si sveli il mistero
incontrato. Altre, madri giovani e
care, han lasciato di figli la stretta,
altri figli, hanno concluso il cammino,

pur nel pieno di loro giovinezza.
E tu, tu che tanto hai vissuto,
tu che hai avuto amore e pienezza
a che ancor sei chiamata alla vita?
Romana Romano, da Parole nel cielo, 2013



Sacra è la cenere
Solo quel che arde
diviene cenere.
Sacra è la cenere.
Tu mi sfiorasti
e io divenni cenere.
Il mio io, il mio essere divenne cenere,
consumato da te.
Così dice l'amante e il credente.
Tu mi sfiorasti. Io sono sacro.
Non io ma la mia cenere è sacra.
Pär Lagerkvist



Compagni falciati
Lampi d'immenso
e zolle di terra
ruzzola l'uomo
verso la meta.

Un passo per volta
perde per strada
compagni falciati
e giovani fiori.

Segni nella carne
tengono viva la memoria
vigile il pensiero
all'erta il cuore.

Percorsi diversi
segnano il cammino
l'enigma diviene
domanda al mistero.

Come un uccello
canta se è vivo
vivente è l'uomo
se dice il suo vero.
Romana Romano



Lettera a Josefa, mia nonna
Hai novant'anni. Sei vecchia, piena di acciacchi. Mi dicono che sei stata la più bella ragazza del tuo tempo - e io ci credo. Non sai leggere. Hai le mani grosse e deformate, i piedi induriti. Hai portato sulla testa tonnellate di stoppie e legna, laghi d'acqua. Hai visto nascere il sole ogni giorno. Con tutto il pane che hai ammassato si potrebbe imbandire un banchetto universale. Hai allevato persone e bestie, ti sei messa i maialini nel letto quando il freddo minacciava di gelarli. Mi hai raccontato storie di apparizioni e di lupi mannari, vecchie questioni di famiglia, di un morto ammazzato. Trave della tua casa, fuoco del tuo focolare - sette volte incinta, sette volte hai partorito.
Non sai niente del mondo. Non ti intendi di politica, né di economia, né di letteratura, né di filosofia, né di religione. Hai ereditato un centinaio di parole pratiche, un vocabolario elementare. Con questo sei vissuta e vivi. Sei sensibile alle catastrofi e anche ai fatti di strada. Nutri grandi odi per ragioni che non ricordi più, e grandi dedizioni basate sul nulla. Vivi. Per te, la parola Vietnam è appena un suono barbaro che non si confà al tuo cerchio di una lega e mezza di raggio. Della fame sai qualcosa: hai già visto una bandiera nera issata sul campanile della chiesa (me lo hai raccontato tu, o avrò sognato che me lo raccontavi?). Porti con te il tuo piccolo bozzolo di interessi. E, tuttavia, hai gli occhi chiari e sei allegra. Il tuo riso è un fuoco d'artificio colorato. Come te, non ho mai visto ridere nessuno.
Ti sto davanti, e non capisco. Sono della tua carne e del tuo sangue, ma non capisco. Sei venuta al mondo e non ti sei curata di sapere che cos'è il mondo. Arrivi alla fine della vita e il mondo, per te, è ancora quel che era quando nascesti: un interrogativo, un mistero inaccessibile, una cosa che non fa parte della tua eredità: cinquecento parole, un fazzoletto di terra di cui si fa il giro in cinque minuti, una casa di tegole e pavimento di terra battuta. Stringo la tua mano callosa, passo la mia mano sul tuo viso rugoso e sui tuoi capelli bianchi, rovinati dal peso dei fardelli - e continuo a non capire. Sei stata bella, dici, e vedo bene che sei intelligente. Perché allora ti hanno rubato il mondo? Chi te lo ha rubato? Ma questo forse lo capisco io, e ti direi il come, il perché e il quando se solo sapessi scegliere delle mie innumerevoli parole quelle che tu potresti comprendere. Però ormai non ne vale la pena. Il mondo continuerà senza di te - e senza di me. Non ci saremo detti l'un l'altro quel che più importava.
Non ce lo saremo detto, davvero? Io non ti avrei dato, perché le mie parole non sono le tue, il mondo che ti era dovuto. Resto con questa colpa di cui non mi accusi - ed è ancora peggio. Ma perché, nonna, perché ti siedi sulla soglia della porta, aperta sulla notte stellata e immensa, sul cielo di cui nulla sai e nel quale mai viaggerai, sul silenzio dei campi e degli alberi attoniti, e dici, con la tranquilla serenità dei tuoi novant'anni e il fuoco della tua adolescenza mai perduta: "Il mondo è così bello, e io ho tanta pena di morire!".
È questo che non capisco - ma la colpa non è tua.
José Saramago, Di questo mondo e degli altri



Titoli di coda
Corrono
sullo schermo
i titoli di coda.
Ad altre vicende
rinviano
lo sguardo.

Cogliere il senso
connettere
il vissuto
col palpito del cuore.
Memoria
di fatti e persone.

Come il figlio pentito
si riconosce nel perdono
da chiedere
e dare a se stesso
su presente
e passato,

l'anima consapevole
può guardare
il già dato
perdonandosi
nel perdonare.
E il mondo torna a colori.

Romana Romano



Montagna di fuoco
Boati lontani
inquietano la mente.
Il vulcano
illumina la notte
tra bellezza e timore.

Il fuoco delle poderose
fontane
diviene polvere nera
schegge di luce
nel plumbeo del cielo.

Il fungo di fumo
respira a intervalli
la montagna incombe
viva
su alberi e strade.

Il ticchettio leggero
su vetri e asfalti
imita
la pioggia
illude la terra riarsa.

Benefica cade
l'acqua.
Lava e terra
mescola insieme.
Fa più fertile il mondo.

Anche l'anima
vive tra gioia e timore
relitti e allegria.
Abbozza l'insieme
un volto inaspettato.

Il vissuto
di luci e di ombre
come cenere anela la pioggia.
Da altrove un dono
d'amore compie l'attesa.
Romana Romano



Il viso
Non guardare
il mio viso di prugna
non guardare
la pelle aspersa
di cinerea cipria!
Guarda la mia anima
arresa al trascorrere degli anni,
guarda la mia anima
traslucida e tersa, immergersi
nell'azzurro cielo.
Anna Guarino



Ritorni
E tornano.
Tornano a rincorrersi sul prato
fra grida e risate
al primo sapore
di primavera.

Non sanno
non vogliono contenersi
dopo mesi
privi di scuola
di nasi e bocche da vedere
di bimbi da toccare.

Paura
di contagi
voglia di non uscire
immobilità.
Indolenti anche i piccoli
non vogliono far nulla.

E infine
il giardino.
La casa di nonna.
Si alzano le voci
squillanti
i cugini, finalmente.

I moniti degli adulti
non fermano le corse.
Non servono
richiami alla distanza
a rientrare in casa
al sicuro.

Il sole
il colore dell'erba
l'irruenza della natura
goduti per poco
sono caparra
di ritorno.
Romana Romano



Briciole
Briciole
per gli uccelli
senza nido.
Timoroso
si presenta il passero
dalle gonfie piume.

Perso il suo albero
avrà ancora
le piccole croste
di pane
delle grigie giornate
di pioggia?

Altri smilzi
piccoli alati
dalla ringhiera
controllano moti
e rumori
pronti a fuggire.

Scende in campo
la sparuta famiglia
guardinga
godendo del cibo
donato
per i giorni imprevisti.

Occhi per vedere
necessari
palpiti incerti
ridanno fiducia all'ora
rilanciano
ad un nuovo futuro.
Romana Romano



Trincea
Il cunicolo stretto
della trincea
salva il soldato.
Ridotta la veduta
dei campi la vastità del cielo.

Con voci sommesse
in difesa si attende
l'attacco.
Inclemente il tempo
scandisce gesti
infime cose nel giorno.

Uscire dal luogo protetto
cambiare ritmo
partecipare
è rischio concreto
enigma
ansia di vita!

Dolore
quanto dolore.
Distrutti uomini e cose
morti lotte e ferite.
Il sé solitario
lacera la mente.

Fonte del coraggio
il bene e il male
è in ciò che si vede.
Rintocca nel cuore
il desiderio dell'anima.
Traluce lo svelarsi del mistero.
Romana Romano



Giorgio Gaber: Il desiderio

Amore
Non ha senso incolpare qualcuno
Calcare la mano
Su questo o quel difetto
O su altre cose che non contano affatto
Amore
Non ti prendo sul serio
Quello che ci manca
Si chiama desiderio
Il desiderio
è la cosa più importante
è l'emozione del presente
è l'esser vivi in tutto ciò che si può fare
Non solo nell'amore
Il desiderio è quando inventi ogni momento
è quando ridere e parlare è una gran gioia
E questo sentimento
Ti salva dalla noia
Il desiderio
è la cosa più importante
Che nasce misteriosamente
è il vago crescere di un turbamento
Che viene dall'istinto
è il primo impulso per conoscere e capire
è la radice di una pianta delicata
Che se sai coltivare
Ti tiene in vita
Amore
Non ha senso elencare problemi
E inventar nuovi nomi
Al nostro regredire
Che non si ferma...

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Trine

Alberi mozzi
non segnano il cielo.
Trine di rami
non ricamano più
la ruvida casa di fronte.

Fronde restano sul terreno
sventrate dimore
di versi e di nidi.
Dove sono sciamati
gli uccelli?

Il nuovo intonaco giallo
non lascia spazio
all'invisibile.
Il colore acceso del reale
forza il pensiero.

Cede l'immaginazione
inerte
ridotto è ogni sentire.
Il sole generoso
infiamma uomini e cose.
Romana Romano



Notti spezzate
dal sonno
inquieto.
Chi chiede ragione
del presente?

Il respiro non placa
il cuore.
Il silenzio
diviene desiderio
dell'alba.

Non si mostra la luce.
L'annunzia
il bisbiglio discreto
dei passeri
innamorati del sole.

Nell'attesa
che invade l'anima
l'istante sospeso
germoglia
in tempo donato.
Romana Romano



Solida la terra
dura
stabile e certa
eterei i passi
tremuli
innesti d'altra danza.

Breve la vita
splendida
di giovani virgulti
arsi nel pieno
del vigore
dentro l'immenso.

Ciascuno di noi
nuota
nel mare in superficie
lillipuziano
grumo
di luce e di coscienza.

Natura, anima
Dio
fraternità?
Ondivaghe
scelte
viottoli diversi?

Scendere nel profondo
aprirsi
ad un abbraccio.
Esserci interi
bere
senza respiro.

La luce carezza
e colora
arcobaleno di bellezza
l'infinito
si dona e dona
misteri di allegria.
Romana Romano



S'è addormentato il mio cuore?
Alveari dei miei sogni,
non lavorate più? È secca
la giostra del mio pensiero,
sono vuoti i bigoncioli,
nel girare, d'ombra pieni?
No, che il mio cuore non dorme.
Il cuore è desto, è desto.
Né dorme né sogna, guarda,
i limpidi occhi aperti,
segnali lontani e ascolta
in riva al grande silenzio.
Antonio Machado y Ruiz



Fragile
il cristallo
immobile nella sua bellezza.
Tintinna
al tocco
il bicchiere vuoto
e diviene armonia.

L'uomo
Impara
nel tempo
la sua gracilità.
Può rompersi
alla vita
al tocco del dolore

o farsi
nell'ombra
che annera
fatica di sorriso
barlume di speranza
eco di bene
donato nell'attesa.
Romana Romano



Volano le nuvole
verso la grande
montagna innevata

Il cielo pur grigio
non oscura la luce
colma di speranza

Ondeggiano al vento
le cime degli alberi
use alla tempesta

Vola anche il cuore
verso gli affetti
più e bramati

Chiamato alla lotta
si mostra pur sempre
incerto il domani.
Romana Romano



Inerte
lungo la strada
attende
il viandante
l'arrivo alla meta.


dove l'erba vince
il cemento
un'auto forse
giungerà al suo richiamo.

Non è
vettura
a orario previsto
non è binario
fissato al terreno.

Galoppano
zoccoli
nel cuore e nel petto
la mente e le membra
segnate dal tempo.

Aperta la via
fiocchi di nuvole
segnano il meriggio.
Il creato attende
il tripudio del tramonto.
Romana Romano



Braccata
senza tregua
scantona la lepre
in cerca di salvezza.
Inseguito
da eventi incalzanti
non fugge
il mio memore cuore.
Ricorda
alla ragione pretenziosa
lo sguardo
amorevole su di me.
Memoria
di presenza fedele
donata
ogni giorno e in ogni passo.
Nel terreno
brullo dell'istante
sbucano e crescono
i fiori dell'amicizia.
Più del dovuto,
tanti, oltre ogni attesa,
donano il possibile
ci sono per me, per noi.
Testimoni dell'invisibile
divengono cura e vita
in un abbraccio
di speranza.
Romana Romano



No, non muovetevi
C'è un'aria stranamente tesa
Un gran bisogno di silenzio
Siamo come in attesa
No, non parlatemi
Bisognerebbe ritrovare
Le giuste solitudini
Stare in silenzio ad ascoltare
L'attesa è una suspense elementare
È un antico idioma che non sai decifrare
È un'irrequietezza misteriosa e anonima
È una curiosità dell'anima
E l'uomo in quelle ore
Guarda fisso il suo tempo
Un tempo immune da avventure
O da speciale sgomento
No, non muovetevi
C'è un'aria stranamente tesa
E un gran bisogno di silenzio
Siamo come in attesa
Perché da sempre l'attesa è il destino
Di chi osserva il mondo
Con la curiosa sensazione
Di aver toccato il fondo
Senza sapere
Se sarà il momento
Della sua fine
O di un neo rinascimento
Non disturbatemi
Sono attirato da un brusio
Che non riesco a penetrare
Non è ancora mio
Perché in fondo anche il mondo nascente
È un po' artista
Predicatore e mercante
E pensatore e automobilista
Il nuovo qualunquista
Guarda anche lui il presente
Un po' stupito
Di non aver capito niente
L'attesa è il risultato, il retroscena
Di questa nostra vita troppo piena
È un andar via di cose dove al loro posto
C'è rimasto il vuoto
Un senso quieto e religioso
In cui ti viene da pensare
E lo confesso ci ho pensato anch'io
Al gusto della morte o dell'oblio
No, non muovetevi
C'è un'aria stranamente tesa
E un gran bisogno di silenzio
Siamo tutti in attesa
Giorgio Gaber, L'attesa
Ascolta il brano su YouTube

Rapida come un fulmine
scende la gioia del Divin Bambino.
Scende a rallegrare le stelle
e noi erranti pastori sulla Terra.
Di nuovo scende, nonostante
così come insiste sulla fronte
di un bimbo malato - il mondo -
la carezza di una madre.
Non abbiamo nulla nelle mani
se non la nostra ostentata ricchezza
l'idea falsa di libertà.
È la notte di Natale.
È la notte della povertà.
Un albero disadorno,
un antico presepe
attendono da secoli
il nostro sguardo.
O piccolo Gesù
ridacci quell'innocenza,
quello spirito caritatevole
che nessun'altra ragione,
nessun altro albero ricolmo
sanno offrire
a noi sperduti viandanti.

Alda Merini, Noi, pastori



Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere un'etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.

Jorge Luis Borges, I giusti



Sono trascorsi molti anni, ma ricordo come se fosse ieri. Ero giovanissimo, avevo l'illusione che l'intelligenza umana potesse arrivare a tutto. E perciò m'ero ingolfato negli studi oltre misura. Non bastandomi la lettura di molti libri, passavo metà della notte a meditare sulle questioni più astruse.
Una fortissima nevrastenia mi obbligò a smettere; anzi a lasciare la città, piena di tentazioni per il mio cervello esaurito, e a rifugiarmi in una remota campagna umbra. Mi ero ridotto a una vita quasi vegetativa: ma non animalesca. Leggicchiavo un poco, pregavo, passeggiavo abbondantemente in mezzo alle floride campagne (era di maggio), contemplavo beato le messi folte e verdi screziate di rossi papaveri, le file di pioppi che si stendevano lungo i canali, i monti azzurri che chiudevano l'orizzonte, le tranquille opere umane per i campi e nei casolari.
Una sera, anzi una notte, mentre aspettavo il sonno, tardo a venire, seduto sull'erba di un prato, ascoltavo le placide conversazioni di alcuni contadini lì presso, i quali dicevano cose molto semplici, ma non volgari né frivole, come suole accadere presso altri ceti. Il nostro contadino parla di rado e prende la parola per dire cose opportune, sensate e qualche volta sagge. Infine si tacquero, come se la maestà serena e solenne di quella notte italica, priva di luna ma folta di stelle, avesse versato su quei semplici spiriti un misterioso incanto. Ruppe il silenzio, ma non l'incanto, la voce grave di un grosso contadino, rozzo in apparenza, che stando disteso sul prato con gli occhi volti alle stelle, esclamò, quasi obbedendo ad una ispirazione profonda: "Com'è bello! E pure c'è chi dice che Dio non esiste".
Lo ripeto, quella frase del vecchio contadino in quel luogo, in quell'ora: dopo mesi di studi aridissimi, toccò tanto al vivo l'animo mio che ricordo la semplice scena come fosse ieri. Un eccelso profeta ebreo sentenziò, or sono tremil'anni: "I cieli narrano la gloria di Dio". Uno dei più celebri filosofi dei tempi moderni scrisse: "Due cose mi riempiono il cuore di ammirazione e di reverenza: il cielo stellato sul capo e la legge morale nel cuore".
Quel contadino umbro non sapeva nemmeno leggere. Ma c'era nell'animo suo, custoditovi da una vita onesta e laboriosa, un breve angolo in cui scendeva la luce di Dio, con una potenza non troppo inferiore a quella dei profeti e forse superiore a quella dei filosofi.

Enrico Fermi



L'artista si sforza di infrangere la stabilità della quale vive la società in nome del movimento verso l'ideale. La società aspira alla stabilità, l'artista aspira all'infinito.
Andrej Tarkowskij



Abbiamo fame di tenerezza
in un mondo dove tutto abbonda
siamo poveri di questo sentimento
che è come una carezza
per il nostro cuore
abbiamo bisogno di questi piccoli gesti
che ci fanno stare bene,
la tenerezza
è un amore disinteressato e generoso,
che non chiede nient'altro
che essere compreso e apprezzato.

Alda Merini, Abbiamo fame di tenerezza



In una mattina del puerperio, quelle prime mattine sospese in un limbo di ninne nanna dal carillon e profumo di borotalco, me ne stavo alla finestra con lui in braccio. Si era infine addormentato. Com'era inerme, com'era ignaro del mondo in cui era arrivato. Ma d'improvviso mi attraversò un pensiero: tutti gli uomini venuti al mondo nei millenni erano un giorno stati come quel mio figlio, bambini avvinti alle braccia materne. Tutti: dittatori, strozzini, assassini erano stati un giorno così. Mi sbalordì la distanza fra quell'innocenza e il male. Sapevo che in ogni uomo che nasce c'è un'ombra, un antico marchio. Ma era così abbandonato il sonno di Pietro, così innocente, che un moto di tenerezza mi si allargò nel cuore non solo per lui, ma per tutti: per tutti gli uomini a me sconosciuti, per tutti i soldati caduti al fronte, e anche per i vagabondi, i miserabili, gli omicidi, i ladri. Perché avevo capito che tutti erano stati, un giorno, come mio figlio. Mi sbalordì questa nuova, strana pietà, che non avevo mai provato prima. Come se attraverso mio figlio avessi d'improvviso intuito che cos'è la misericordia. Misericordia significa con viscere materne. Guardare con viscere materne. Scorgendo ancora, dietro alla durezza degli uomini, il figlio inerme che un giorno sono stati.
Marina Corradi, Ognuno come lui, da Figli dei figli



Non t'ho perduta. Sei rimasta, in fondo
all'essere. Sei tu, ma un'altra sei:
senza fronda né fior, senza il lucente
riso che avevi al tempo che non torna,
senza quel canto. Un'altra sei, più bella.
Ami, e non pensi essere amata: ad ogni
fiore che sboccia o frutto che rosseggia
o pargolo che nasce, al Dio dei campi
e delle stirpi rendi grazie in cuore.
Anno per anno, entro di te, mutasti
volto e sostanza. Ogni dolor più salda
ti rese: ad ogni traccia del passaggio
dei giorni, una tua linfa occulta e verde
opponesti a riparo. Or guardi al Lume
che non inganna: nel suo specchio miri
la durabile vita. E sei rimasta
come un'età che non ha nome: umana
fra le umane miserie, e pur vivente
di Dio soltanto e solo in Lui felice. 

O giovinezza senza tempo, o sempre
rinnovata speranza, io ti commetto
a color che verranno: - infin che in terra
torni a fiorir la primavera, e in cielo
nascan le stelle quand'è spento il sole.

Ada Negri, Mia giovinezza, dalla Raccolta Fons Amoris



L'imperatore - così si dice - ha inviato a te, al singolo, all'umilissimo suddito, alla minuscola ombra sperduta nel più remoto cantuccio di fronte al sole imperiale, proprio a te l'imperatore ha mandato un messaggio dal suo letto di morte. Ha fatto inginocchiare il messaggero accanto al letto e gli ha bisbigliato il messaggio nell'orecchio; tanto gli stavi a cuore che s'era fatto ripetere, sempre all'orecchio, il messaggio. Con un cenno del capo ne ha confermato l'esattezza. E dinanzi a tutti coloro che erano accorsi per assistere al suo trapasso: tutte le pareti che ingombrano sono abbattute e sulle scalinate che si ergono in larghezza e in altezza stanno in cerchio i grandi dell'impero; dinanzi a tutti questi ha congedato il messaggero. Il messaggero s'è messo subito in cammino; un uomo robusto, instancabile; stendendo a volte un braccio, a volte l'altro fende la moltitudine; se incontra resistenza indica il petto dove c'è il segno del sole; egli avanza facilmente come nessun altro. Ma la moltitudine è enorme, le sue abitazioni non finiscono mai. Come volerebbe se potesse arrivare in aperta campagna e presto udresti il meraviglioso bussare dei suoi pugni al tuo uscio. Invece si affatica quasi senza scopo; si dibatte ancora lungo negli appartamenti del palazzo interno; non li supererà mai, e se anche ci riuscisse nulla sarebbe ancora raggiunto; dovrebbe lottare per scendere le scale, e se anche ci riuscisse nulla sarebbe ancora raggiunto; bisognerebbe attraversare i cortili, e dopo i cortili il secondo palazzo che racchiude il primo; altre scale, altri cortili; e un altro palazzo; e così via per millenni; e se riuscisse infine a sbucare fuori dal portone più esterno - si troverebbe ancora davanti la capitale, il centro del mondo, ricoperta di tutti i suoi rifiuti. Nessuno può uscirne fuori e tanto meno col messaggio di un morto. Tu, però, stai alla tua finestra e lo sogni, quando scende la sera.

Franz Kafka, Un messaggio dell'imperatore, dalla Raccolta Un medico di campagna



Bagliori di sereno
lontane ansie ben note.
Affiora nel cuore
l'appello di oggi, di sempre.
La vita vissuta
non colma la fine.
Protesa la freccia
anela il mistero.

Romana Romano



Nel bel mezzo dell'odio,
ho trovato che c'era, dentro di me, un invincibile amore.
Nel bel mezzo delle lacrime,
ho trovato che c'era, dentro di me, un invincibile sorriso.
Nel bel mezzo del caos,
ho trovato che c'era, dentro di me, un'invincibile calma.
Nel bel mezzo dell'inverno,
ho infine imparato che vi era in me un'invincibile estate.
E che ciò mi rende felice.
Perché afferma che non importa quanto duramente il mondo vada contro di me,
in me c'è qualcosa di più forte, qualcosa di migliore che mi spinge subito indietro.

Albert Camus, Invincibile estate



Il mio cuore è debole, stasera,
come il sole che lento risale
i tetti, e profonde sono le mie colpe;
ahi! l'uomo, come sempre tramonta.
Come sempre, mentre lui tramonta,
resta l'orizzonte ineffabile
e sterminato il destino, a chiunque,
dell'esistere, sterminato!
Ciò che lasciamo indietro
si strascica verso il buio,
ciò che ci attende è incomprensibile
compreso il momento che passa.
Io sono: eccomi! io sono,
solo in quest'ora debole,
ciò che decide: io sono
la linea che divide
il passato dal futuro.
Momento eterno dell'essere
che ti stabilisci nell'attimo,
sei tu la mia grazia, decidi.

Carlo Betocchi, Elogio della fragilità



La domanda che ci assilla è di dove proveniamo e dove andiamo, tutto quello che possiamo osservare da noi stessi è ciò che ci circonda abitualmente. È per questo che abbiamo l'ansia di scoprire su di esso tutto quanto possiamo. Questa è scienza, l'apprendere, il conoscere, questa è la vera sorgente di ogni impresa spirituale umana.(...) Appare ovvio ed evidente, ma pure va detto: le conoscenze isolate ottenute da un gruppo di specialisti in un dominio ristretto non hanno affatto valore in sé, ma soltanto nella loro sintesi con tutto il resto del conoscere, soltanto in quanto esse, in questa sintesi, realmente contribuirono per qualche cosa a rispondere alla domanda "Chi siamo noi"?

Erwin Schrödinger, Scienza e umanesimo



Mani stanche.
Non trattengono,
non fanno carezze
non sanno rendersi utili.

Mani livide.
Non si tendono,
non si stringono
hanno ancora da dolere.

Altro il tempo.
Scarsa la resa,
diverso il compito
tutto è sempre da svelare.

Romana Romano, Mani