Chi ha paura degli squali, di Francesco Riggi


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Categorie: Scienza e Tecnologia   Poesia e Narrativa   Cinema e Teatro  

Nel film Io, Daniel Blake, una pellicola di qualche anno addietro del regista Ken Loach, il protagonista Daniel Blake, un operaio quasi sessantenne, impossibilitato a continuare, a causa di un infarto, il lavoro pesante che ha svolto fino a quel momento, combatte la sua battaglia contro lo Stato per il riconoscimento del sussidio di disoccupazione. In questa battaglia il suo destino si intreccia con quello di una donna, Katie, madre single di due bambini, anch'ella in gravi difficoltà per riuscire a sopravvivere.
Il film racconta di uno sguardo profondamente umano sulle vicende degli ultimi, in un contesto in cui i tagli alla spesa sociale non riescono più a garantire la dignità di ciascuno. Ma non è il film in sé, pur meritevole, a spiegare il titolo di questo contributo, quanto piuttosto una domanda che posta all'inizio del film, riceverà una risposta nel corso della vicenda. Nel sostenere, come può, la vita di Katie e dei suoi figli, fino a far fare loro i compiti scolastici, Daniel pone infatti un quesito a Dylan, uno dei bambini: "Muoiono più persone a causa degli squali o a causa delle noci di cocco?", una domanda insolita, forse per fare da stimolo e risvegliare il bambino dall'isolamento in cui si è chiuso fino a quel momento.
"Le noci di cocco fanno più vittime degli squali", dichiarerà in seguito il bambino, ormai aperto ad un abbraccio più grande, che ha sempre desiderato. E forse ha ragione: nel mondo, secondo una statistica del National Geographic, vengono uccise annualmente meno di una decina di persone a causa degli squali, ma oltre dieci volte tanto, circa 150 persone, a causa della caduta di una noce di cocco.
Non è ancora stato stabilito con certezza se per gli incidenti causati dalle noci di cocco si tratti di una bufala oppure no, data la difficoltà di recensire il numero di incidenti di questo tipo, tuttavia è certo che questo paragone tra due possibili pericoli, quello di venire azzannati da uno squalo e quello di vedersi piombare sulla testa una coriacea noce di cocco da un'altezza considerevole, è stato preso come esempio emblematico delle paure dell'uomo, spesso irragionevoli e non supportate da dati oggettivi.
Al di là della veridicità di questo esempio, è infatti vero che abbiamo spesso più paura di catastrofi o di incidenti che hanno in realtà una probabilità molto piccola di verificarsi, quando invece dovremmo averne rispetto a situazioni ben più pericolose, che avvengono con una frequenza molto più elevata. È il tema di un recente saggio di Mario Tozzi, Paure fuori luogo (Einaudi), nel quale l'autore passa in rassegna molti esempi di fenomeni per i quali esistono paure collettive, dalle alluvioni agli asteroidi, dalle eruzioni vulcaniche alle epidemie. Molto spesso senza alcuna ragione scientifica, a fronte di altri fenomeni che dovrebbero preoccuparci molto di più. Senza scomodare i cambiamenti climatici, la diminuzione delle risorse disponibili, o i conflitti in corso, dei quali magari siamo disposti a preoccuparci, basterebbe pensare all'uso quotidiano dell'automobile, che produce ogni anno più di un milione di morti, altro che la decina di persone uccisa dagli squali!
Le paure collettive sono facilmente documentate dall'attenzione che i media danno all'argomento, o dal numero di film che giocano su queste paure: tsunami, asteroidi che colpiscono la Terra, eruzioni vulcaniche ed epidemie sono al centro di un enorme numero di film "catastrofe", che evidentemente attirano e fanno cassetta. E, in questa categoria, come non ricordare proprio quelli basati sull'attacco degli squali? Apparentemente non risultano invece né opere cinematografiche né romanzi thriller di successo che siano basati sugli incidenti causati dalle noci di cocco.
Per tornare al film, che la domanda posta dal protagonista avesse il significato di rimuovere la paura fuori luogo con cui vivere la vita, anche in condizioni difficili?

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